Nei sogni di Dio

"Quando un sogno è di Dio, è incontenibile. Trasforma un’intera esistenza". In questo articolo don Matteo Fabbri, vicario dell'Opus Dei per l'Italia, ci parla dei sogni di Dio, del loro rapporto con l'essere umano e di come si realizzano.

Sognate, e la realtà supererà i vostri sogni, diceva spesso San Josemaría. Prima ancora di ripetere queste parole, le viveva. Aveva “visto” l’Opus Dei il 2 ottobre del 1928 e, a partire da quella luce fondazionale, ha visto tutto il resto della sua vita e della vita dell’Opera. Ma l’Opus Dei non era un “suo” sogno, era ed è un sogno di Dio.

Da quella data si è lasciato prendere totalmente dall’azione divina. Si è sintonizzato sulla lunghezza d’onda di Dio; ha accordato la sua voce alla polifonia delle realtà umane divinizzate; ci ha insegnato a percorrere i cammini divini della terra, aperti dalla grazia di Dio.

Quando un sogno è di Dio, è incontenibile. Trasforma un’intera esistenza. Scioglie i cuori, apre orizzonti. È fuoco, il fuoco irresistibile del desiderio divino. “Come fuoco che incendia la macchia e come fiamma che divampa sui monti” (Sal 83(82), 15): parole scelte da nostro Padre, allora solo trentaduenne, come esergo di uno dei primi documenti dell’Opera. Dio sogna. Sogna il bene e la felicità dei suoi figli, sogna il mondo umano redento e innervato dall’amore filiale, sogna le relazioni interpersonali trasfigurate dall’amore, quell’amore che è la Sua stessa vita. Dio sogna perché è Padre: ogni padre ha sogni sui propri figli. Ma i sogni di Dio si fanno realtà attraverso noi uomini, secondo la logica della grazia e della corrispondenza: “Quando Dio nostro Signore progetta qualche opera a favore degli uomini, in primo luogo pensa alle persone che deve utilizzare come strumenti… e concede loro le grazie opportune” (Istruzione 19-III-1934, n. 48, cfr. A. Vázquez de Prada, Il fondatore dell’Opus Dei, I, Leonardo International, Milano 2003, p. 608).

I sogni di Dio trasmettono grazia e insieme aumentano la stessa capacità di sognare, che cresce, man mano che ci si impegna a corrispondere e a sintonizzare il proprio modo di vedere con lo sguardo di Dio: “Che io veda con i tuoi occhi, Cristo mio!”, esclamava verso la fine della sua vita (cfr. J. Herranz, Nei dintorni di Gerico. Ricordi degli anni con san Josemaría e con Giovanni Paolo II, Ares, Milano 2005, p. 364). Il nostro santo Fondatore, nel corrispondere alle luci di Dio diventa a sua volta un sognatore. Non nel senso superficiale di visionario. Nel senso più pieno di un uomo di Dio.

Il sogno è la realtà vista … con gli “occhiali” di Dio, vista da chi è capace di scorgere la grazia e l’azione di Dio, da chi sa che la storia non è il succedersi di fatti senza senso, ma è guidata dalla provvidenza di Dio, che a sua volta affida ai suoi figli la responsabilità del tempo che stanno vivendo. Dio ci trasmette i suoi sogni, facendoci entrare nel suo sogno, facendoci partecipi della Sua vita divina, chiamandoci a vivere, da figli, del Suo amore e nel Suo amore. Figli che sono chiamati a diventare a loro volta “padri” e a sognare di nuovo insieme a Dio Padre e a partire dai sogni di Dio. Chi sogna così, agisce; non è un illuso, né tanto meno un teorico. I sogni diventano desideri e i desideri diventano realtà, vita.

Anche noi siamo il sogno di Dio, siamo nei sogni di Dio. E diventiamo così trasmettitori dei sogni di Dio. Non abbiamo solo un messaggio da comunicare, abbiamo una missione da svolgere, un sogno da compiere: una missione divina, una missione che incarna nella nostra storia il sogno di Dio.

Il sogno siamo noi, e il sogno è in noi; ed è in noi per essere proseguito, portato a compimento, tradotto in pratica, e trasmesso alle generazioni future.

Facciamoci prendere da questo sogno, permettiamo al Signore di invadere il nostro cuore e la nostra mente (e la nostra vita intera) con il Suo sogno, con il Suo amore paterno, con la Sua Vita divina. Questa è la vera e profonda conversione: chiediamo a Dio di trasformare la nostra mente e il nostro cuore, di farci assaporare la Sua vita, e di saper corrispondere alla Sua grazia.

San Josemaría, da buon Padre, ci mostra la strada della conversione, aprendoci il suo cuore, e mostrandoci parte della sua orazione: “Gesù, fa' che il mio povero cuore si riempia dell'oceano del tuo Amore, con ondate tali da pulire tutta la mia miseria ed espellerla da me... Versa le acque purissime e ardenti del tuo Cuore nel mio, fino a che, soddisfatta la mia brama di amarti, non riuscendo più a contenere gli affetti dell'incendio divino, il mio cuore si spezzi - morire d'Amore! -, e il tuo Amore si riversi, in cascate vivificanti e irresistibili e fecondissime, in altri cuori perché vibrino, al contatto di queste acque, con palpiti di Fede e di Carità” (Forgia, n. 933).

Ecco come si realizzano i sogni di Dio.

L’anniversario dell’arrivo di nostro Padre in Italia ci può servire per ricordarci che la forza trasformante dei sogni di Dio ha toccato e tocca anche il nostro cuore, il cuore di noi italiani.

E allora di fronte a tante difficoltà sociali che il nostro Paese sta attraversando, di fronte agli ostacoli che la Nuova Evangelizzazione incontra, di fronte alle minacce di violenze e di guerra (sia la guerra fisica che quella morale, che colpisce tante famiglie), possiamo dire e “sognare” come san Josemaría faceva nei primi anni dell’Opera: “La tua Opera, Signore, aprirà loro gli occhi!” (Appunti intimi, n. 291, in A. Vázquez de Prada, op. cit., p. 389).

Perché l’Opera è uno dei sogni di Dio.

Chiediamo che anche ora, oggi, in ciascuno di noi, questi sogni si facciano realtà.

Matteo Fabbri