Mons. Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze. 26 giugno 2009

In tutto il mondo il 26 giugno, festa liturgica di san Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei, vengono celebrate sante Messe in onore del santo. Offriamo l’omelia di mons. Betori, Arcivescovo di Firenze.

Mons. Giuseppe Betori

L’evangelista Luca con poche parole ci aiuta a cogliere la fame di Dio che manifesta quella folla che circonda Gesù sulle rive del lago di Genesareth: «La folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio» (Lc 5,1). Sono persone comuni, come lo sono i pescatori che hanno ormeggiato le loro barche, intenti al loro lavoro di ogni giorno. Gesù li raggiunge sul luogo ordinario della loro vita e parla aprendo il suo cuore. «Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”» (Lc 5,3-4).

«Duc in altum!», «Prendi il largo!». Pietro, dopo una comprensibile umana incertezza, segue fedelmente l’indicazione ricevuta da Gesù. E avviene quella meravigliosa pesca miracolosa che richiede il lavoro di tutti e perfino una seconda barca in appoggio. Sempre Pietro, confuso, manifesta la propria indegnità: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore» (Lc 5,8); e Cristo, infine, gli indica ciò che veramente vuole da lui, dalla sua vita: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10).

Generosità

Quanti pesci finirono nelle reti di Pietro e degli altri apostoli per avere obbedito al mandato di Cristo! E quante anime, in questa benedetta terra toscana aspettano oggi i pescatori di Dio: siate voi questi pescatori, araldi del vangelo, sentinelle del mattino! Certamente tutto ciò richiede generosità, la stessa generosità che ebbero anche quei primi che «tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11).

Così è stata la vita di san Josemaría e, sulle sue orme, quanti lo hanno seguito diffondendo la presenza e l’azione dell’Opus Dei in tutto il mondo. Accadde venticinque anni fa anche qui, a Firenze e poi in tutta la nostra regione. Ringraziamo Dio per i doni che ha elargito in tanti anni di lavoro e di apostolato e bussiamo insistentemente al suo Cuore perché mandi tante vocazioni alla sua Opera, al servizio della Chiesa e della società.

Chiesa dei Santi Michele e Gaetano, Firenze

Un compito grande

San Josemaría ha ricevuto dalla Provvidenza di Dio un compito grande: quello di diffondere e ricordare a tutti, sacerdoti e laici, la chiamata universale alla santità. Dio chiama ogni persona alla santità e questo comporta che tutte le circostanze della vita – il lavoro professionale come le relazioni familiari e sociali – possono e devono essere realtà santificate e santificanti.

La santità non è riservata a pochi, consiste nel diventare amici di Dio, nel lasciare operare Dio nella propria vita. Lo sanno bene studenti, madri di famiglia, agricoltori, commercianti, scultori e pittrici, avvocati, medici, ingegneri, insegnanti, musicisti, artigiani, operai… che in questo quarto di secolo hanno trovato la strada della loro vita cristiana frequentando le proposte formative di Poggio Alto e dell’Accademia dei Ponti, i due centri dell’Opus Dei in Toscana.

Conto sulla fedeltà piena di questa porzione del popolo di Dio che è l'Opus Dei

Questa proposta di vita cristiana trova la sua casa ecclesiale nella Prelatura dell’Opus Dei, che raccoglie fedeli laici, donne e uomini, sposati e celibi, che ne sono parte integrante, così come i sacerdoti che ne costituiscono il presbiterio. Allo stesso tempo ogni laico appartiene, come tutti, alla diocesi in cui ha il domicilio. Come vescovo di Firenze conto sulla fedeltà piena di questa porzione del popolo di Dio.

Mai come adesso ci troviamo in una società in crisi di valori, lo smarrimento è grande e questo sta colpendo soprattutto i giovani, sempre più privi di punti riferimento. Segnali di degrado morale non mancano neanche in questa nostra città, esiti perversi di una ricerca di forme di evasione sempre più trasgressive. A questo vuoto esistenziale, che si vorrebbe negare appunto con la trasgressione, dobbiamo saper opporre una forte immagine di umanità piena: solo nella fedeltà alla verità dell’uomo, che il Vangelo svela, può trovare risposta la sete di felicità dell’uomo. Già san Josemaría si trovò a vivere un’epoca di grande smarrimento, ma non si fece mai dominare dal pessimismo. Era convinto che i cristiani, dotati di un’anima sacerdotale e di una forte mentalità laicale, avrebbero potuto cambiare tante cose nella società, dove urge la presenza di cattolici coerenti.

In una sua celebre omelia leggiamo questo significativo appello: «Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un’università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno. Sappiatelo bene: c’è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire». Ciò che egli rifiutava era una visione della fede separata dalla vita: «da una parte, la vita interiore, la vita di relazione con Dio; dall’altra, come una cosa diversa e separata, la vita familiare, professionale e sociale, fatta tutta di piccole realtà terrene. No, figli miei! Non ci può essere una doppia vita, non possiamo essere come degli schizofrenici, se vogliamo essere cristiani: vi è una sola vita, fatta di carne e di spirito, ed è questa che dev’essere – nell’anima e nel corpo – santa e piena di Dio: questo Dio invisibile lo troviamo nelle cose più visibili e materiali. Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai» (Omelia “Amare il mondo appassionatamente”).

In questo anno sacerdotale

Sono espressioni forti che concretizzano bene quel «Duc in altum!» che, come ci ricordava Giovanni Paolo II, il Signore ci invita a compiere in questo momento storico. Gesù vuole arrivare in tutti gli ambienti della società, in ogni ambito professionale. È una missione che i sacerdoti e i laici devono portare avanti insieme: è chiaro che ai laici compete stare in prima linea, per portare la luce del vangelo nella vita quotidiana e, con seria competenza professionale, trasformare dal di dentro la società e cristianizzarla. Ma i laici hanno bisogno dei sacerdoti, e di sacerdoti santi! Sono sicuro che in questo anno sacerdotale pregherete molto per la santità di tutti i sacerdoti.

San Josemaría si è sempre prodigato per la formazione dei sacerdoti. Voleva che fossero prima di tutto ricchi di umanità, coltivati nelle virtù umane. E poi con una profonda vita interiore, alimentata dalla grazia dei sacramenti e dalla preghiera. In un’occasione ebbe a dire: «I fedeli non vogliono vedere nel sacerdote un uomo come gli altri, sarebbe un inganno. Vogliono ammirare nel sacerdote le virtù proprie di ogni cristiano, che sono peraltro quelle di ogni persona onesta: la comprensione, la giustizia, la dedizione al lavoro, la carità, l’educazione, la delicatezza nel rapporto reciproco. Ma accanto a ciò pretendono che risalti chiaramente il carattere sacerdotale: si aspettano dal sacerdote che preghi, che non rifiuti l’amministrazione dei sacramenti, che sia disposto ad accogliere tutti senza porsi alla testa o militare in fazioni umane, quali che siano. Che metta amore e devozione nella celebrazione della santa Messa, segga in confessionale, consoli i malati e gli afflitti; con la catechesi dia dottrina ai bambini e agli adulti, che predichi la parola di Dio e non l’una o l’altra delle scienze umane, ancorché le conosca perfettamente, perché quella non sarebbe la scienza che salva e che conduce alla vita eterna. Che abbia dono di consiglio e carità verso i bisognosi. In breve si chiede al sacerdote di non porre ostacoli alla presenza di Cristo in lui» (Omelia “Sacerdote per l’eternità”).

Accendere in tutti gli ambienti la luce della fede

Ma permettete che torni al tema centrale del carisma di san Josemaría, cioè la santificazione nelle condizioni di vita ordinaria. È oggi un’esigenza particolarmente urgente, in un contesto culturale che sembra lasciare poco spazio alla presenza ecclesiale. Ascoltiamo ancora le parole del nostro santo: «Non possiamo incrociare le braccia, quando una sottile persecuzione condanna la Chiesa a morire d’inedia, relegandola fuori dalla vita pubblica e, soprattutto, impedendole d’intervenire nell’educazione, nella cultura, nella vita famigliare. Non sono diritti nostri: sono di Dio, e a noi cattolici Egli li ha affidati... perché li esercitassimo» (Solco, 310). Tutti dobbiamo sentirci responsabili della missione della Chiesa. Tutti siamo chiamati all’apostolato. E sulle orme di Cristo ci rivolgiamo alle folle dedicandoci alle persone, una per una, con quell’apostolato personale di amicizia e confidenza che ha insegnato san Josemaría.

Questo significa “essere Chiesa”, sacerdoti e laici insieme per estendere il regno di Dio. San Josemaría sognava e gioiva nel vedere cristiani comuni accendersi e diffondere in tutti gli ambienti la luce della fede, pienamente consapevoli della loro vocazione alla santità e all’apostolato. Quanto amava il mondo e quanto amava la Chiesa! E sapeva bene che non può esserci luce nel mondo se non c’è luce nella Chiesa. Facciamo nostra la sua invocazione: «Omnes cum Petro ad Jesum per Mariam!».

+ Giuseppe Betori