Le beatitudini (III): il megafono di Dio

«Benedetti gli afflitti, perché saranno consolati». Il dolore può essere una esperienza che ci permette di accogliere Dio. Testo per giovani sulle beatitudini, proposte da Papa Francesco per preparare la Giornata mondiale della gioventù in Polonia.

Non era un Maestro come gli altri. Le centinaia di persone sparse alle falde della collina ascoltavano a bocca aperta la sua predicazione, fatta con parole nuove. Aveva chiamato beati i poveri e aveva promesso loro il Regno dei Cieli.

Per fare in modo che la prima beatitudine calasse bene nei cuori, il Signore avrà fatto probabilmente una pausa prima di annunciare la seconda. Allora disse: «Beati gli afflitti, perché saranno consolati» i.

Piangere? Come può desiderare il Signore che piangiamo, che soffriamo? Quale Salvatore promette lacrime a chi lo segue?

Nell’udire queste parole, molti alzarono il capo. Non erano felici, e per questo avevano lasciato case e villaggi camminando per giorni alla ricerca di questo Rabbì che incendiava i cuori. Volevano essere guariti da una malattia, liberarsi da una situazione ingiusta, cambiare vita o riacquistare la speranza in Dio. Ma, piangere? Come può desiderare il Signore che piangiamo, che soffriamo? Quale Salvatore promette lacrime a chi lo segue?

Sorpresi, meditavano le parole del Maestro. Dopo essersi rivolto ai poveri, il Signore indica ora una via a coloro che piangono. È un Messia che non parla soltanto ai ricchi, né a coloro che hanno molto denaro, né a coloro ai quali tutto va bene nella vita. Questo Maestro ha un messaggio per tutti, perché… chi non ha pianto qualche volta? Chi dubita che la tristezza, l’avversione o il dolore prima o poi compariranno nella loro vita?

Il megafono di Dio

A che cosa serve Dio? È una domanda che si può talvolta formulare nella nostra esistenza. Oggi abbiamo altre occupazioni più interessanti o più urgenti da fare. La nostra testa e il nostro cuore stanno in altre cose, e il rapporto con il Signore viene considerato un peso, un insieme di regole e di impegni (come assistene alla messa la domenica, dalla quale non ricaviamo nulla). Non ne vale la pena.

Succede che, quando nella vita navighiamo su di un mare in bonaccia, la sensazione di capitanare la nostra nave può indurci a dubitare persino di Dio. Eppure, basta poco per comprendere che la nave che guidiamo è molto fragile. Una malattia, problemi in famiglia, un amore non corrisposto o una sensazione di profonda insoddisfazione, sono esperienze capaci di gettare un’ombra su tutto ciò che ci riguarda.

Lo scrittore C.S. Lewis considerava questi momenti di dolore – fisico o interiore – una forte chiamata di Dio. “Dio ci parla sottovoce nei nostri piaceri – diceva –, ci parla nella nostra coscienza, ma grida nel nostro dolore; il dolore è il suo megafono per risvegliare un mondo che è sordo” ii.

Non sembra strano che il rumore interiore, le preoccupazioni o gli interessi che riempiono il nostro spirito arrivino a nascondere la Sua voce. Semplicemente, ci dimentichiamo del Signore.

In effetti, Dio ci tiene sempre compagnia e i suoi consigli nella vita ordinaria ci arrivano quasi sottovoce. Non s’impone, ma propone. Perciò non sembra strano che il rumore interiore, le preoccupazioni o gli interessi che riempiono il nostro spirito arrivino a nasconderne la voce. Semplicemente, ci dimentichiamo del Signore e lo releghiamo in un angolo del nostro intimo. Diventiamo sordi. A ogni modo, anche se Dio non desidera né provoca il nostro dolore, ritorna per starci vicino nel momento della prova, perché non ci abbandona mai.

Qualcuno dica il tuo nome

Le sofferenze che compaiono nella vita possono essere provocate da una situazione oggettiva: la morte di un parente, un periodo di difficoltà economica o lavorativa, una malattia…. Sono situazioni nelle quali la soluzione del problema non è alla nostra portata. In questi momenti possiamo imparare da Maria Maddalena, uno dei personaggi che – come lo stesso Gesù, la Madonna, san Pietro o san Paolo – vediamo piangere nei Vangeli.

Due giorni dopo la crocifissione del Signore, Maria va alla tomba del Maestro per ungere il cadavere con unguenti profumati. Il suo dolore non è un ostacolo tale da impedirle di servire Gesù un’ultima volta. In quanti ricordi era immersa quella mattina, sola per le strade di Gerusalemme! Ma, arrivata al sepolcro e visto che è vuoto, la Maddalena crolla. Non le rimane neppure la consolazione di vedere il corpo del Signore: hanno portato via tutto. Avrà domandato ripetutamente a Dio: Perché? Perché?

“Donna, perché piangi?iii – le dice una voce. Essa, pensando che fosse il custode del giardino, risponde: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. Quella donna non poteva immaginare che cosa fosse successo; soltanto Dio conosce il perché di certi fatti che ci possono portare alla disperazione. “Maria!”, chiama il Signore. “ Rabbuni! Maestro!”, grida essa piena di gioia, riconoscendolo.

A volte, abbiamo bisogno soltanto che qualcuno dica con amore il nostro nome perché le nostre afflizioni si dileguino.

“Maria!”. A quel suono, gli occhi della Maddalena si aprono alla verità. A volte, abbiamo bisogno soltanto che qualcuno dica con amore il nostro nome perché le nostre afflizioni si dileguino. Quando non troviamo il senso di un dolore e non sappiamo più che cosa fare, è meglio andare davanti al tabernacolo, lasciare il problema nelle mani del Signore e ascoltarlo mentre pronuncia il nostro nome.

L’elefante nel recinto

Chi vuole incontrare il Signore nella sua vita non ha però bisogno di aspettare una grande tragedia per ottenere la consolazione di Dio: le piccole delusioni, gli scoraggiamenti, le rimostranze o le contrarietà giornaliere sono opportunità per cercare il Suo aiuto.

In concreto, una fonte di dolore suole essere l’accumularsi delle miserie personali. Anche se pensiamo di non aver fatto mai nulla di grave, il nostro cuore conserva memoria di ogni ferita. In modo misterioso, l’anima si stanca dei peccati commessi, grandi o piccoli che siano. E così, un giorno ci sentiamo sfiniti, demotivati o ci disprezziamo senza motivo. In questi casi, siamo particolarmente deboli, per cui non conviene rimanere per molto tempo tristi, perché la tristezza richiama il peccato, e così quando siamo arrabbiati, seccati o distrutti possiamo commettere grandi sciocchezze. “Un abisso chiama l’abisso” iv, dice la Bibbia.

“Tutti noi abbiamo delle oscurità nella nostra vita – riconosce Papa Francesco –, anche momenti dove tutto, anche nella propria coscienza, è buio, no? Andare nelle tenebre significa essere soddisfatto di se stesso; essere convinto di non aver necessità di salvezza. Quelle sono le tenebre!” v. Infatti, come dice il Papa, c’è il pericolo di adattarci alla nostra miseria e di preferire l’amarezza al cambiamento, perché ogni cambiamento comporta una crescita, una lotta, una maturazione. Pensiamo: “Dovrei studiare”; “dovrei avere meno contrasti con mio padre e comprenderlo”; “dovrei abbandonare questo vizio”..., però il più delle volte non andiamo oltre i buoni propositi.

A noi può succedere qualcosa di simile: per molto tempo abbiamo lottato contro difetti più grandi di noi e alla fine, per stanchezza, abbiamo finito per non combattere più.

In passato, per evitare che gli elefanti scappassero dal circo, li si teneva legati a un palo con una grossa catena. L’enorme animale era dotato di una forza straordinaria e avrebbe potuto liberarsi con uno strattone della zampa. Perché non faceva neppure il tentativo? Perché appena nato era stato incatenato a quel palo e ancora debole aveva lottato per darsi alla fuga, ma ben presto aveva perduto la voglia di continuare a scalciare. Ora, divenuto grande, ignora la forza di cui dispone, perché si è assuefatto a quel semplice palo.

A noi può succedere qualcosa di simile: per molto tempo abbiamo lottato contro difetti più grandi di noi e alla fine, per stanchezza, abbiamo finito per non combattere più. Alzarci subito ogni mattina, studiare per tutto il tempo previsto, praticare la castità, parlare con sincerità nella confessione o essere amabili quando gli altri non sono d’accordo con noi: tutto questo può essersi trasformato in una guerra impossibile da vincere. Ma non è così: con l’aiuto di Dio, bisogna continuare nel tentativo, perché forse quello che prima non era possibile ora lo sarà con poco sforzo. Inoltre, possiamo contare sulla grazia di Dio. Egli ci chiede solo di rispondere, ci chiede di tendere il braccio per afferrare il Suo.

Chi non è ancora sufficientemente maturo per vedere in se stesso la causa dei propri problemi, può reagire ribellandosi o accusando altri (la famiglia, gli amici, il “sistema”, ecc.). Occorre che il peccato ci faccia ripiegare su noi stessi, impedendoci di guardare gli altri e Dio stesso. Non vediamo più le necessità altrui e pensiamo soltanto a ciò che ci riguarda.

Per questo un primo passo per liberarci dal dolore può essere guardare con altri occhi coloro che ci stanno accanto e smetterla di gettare su di loro la colpa delle nostre sofferenze. Dare un aiuto in casa, preoccuparci dei problemi dei genitori, dedicare tempo e attenzione a un amico che ne ha bisogno o impegnarci in una iniziativa di solidarietà, tutto ciò può essere un buon inizio. Scopriremo, fra le altre cose, che possediamo una straordinaria capacità di rendere felici gli altri. Vale la pena compiere questo sforzo!

Vai un’altra volta, e vai e vai e vai...”

San Josemaría domandava: «Manca la gioia? Pensa: c’è un ostacolo fra Dio e me. Indovinerai quasi sempre» vi. Il fatto è che nella vita, per uscire da un periodo nero, certe volte è di grande aiuto fare una buona confessione. Se ancora non siamo preparati per confessarci, possiamo almeno fare un esame di coscienza e riconoscere di aver bisogno di cambiare. Se il nostro orgoglio non lo impedisce, Dio ci darà anche la forza, che alcune volte ci manca, di chiedergli perdono.

Se ancora non siamo preparati per confessarci, possiamo almeno fare un esame di coscienza e riconoscere di aver bisogno di cambiare.

Ecco alcune possibili scuse: “È meglio che mi confessi un altro giorno”; “non sono pronto per raccontare la tal cosa”; “il sacerdote non mi capirà”; “quando ne avrò voglia”... Tutte trappole poste dal diavolo sul nostro cammino; bisogna scacciarle con decisione. Non dobbiamo concedergli neppure una sola vittoria. In ginocchio davanti al sacerdote, alla presenza di Dio, non soltanto cadrà dalla nostra anima la maschera di menzogne dietro cui ci nascondevamo, ma il Signore ci colmerà della sua grazia.

Pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria. Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria”, ma è piuttosto un incontro con Qualcuno “che ci aspetta come siamo. Ma, Signore, senti, sono così. Ci fa vergogna dire la verità: ho fatto questo, ho pensato quell’altro [...]. Vergognarsi è una virtù dell’umile!” Pertanto, dobbiamo confessarci “con fiducia, anche con allegria, senza truccarci. Non dobbiamo mai truccarci davanti a Dio! Con la verità. Con vergogna? Benedetta vergogna...”. E, con ottimismo, il Papa si domanda: “E se domani faccio lo stesso? Vai un’altra volta, e vai e vai e vai... Egli ci aspetta sempre” vii. E in un altro momento diceva: “Dio non si stanca mai di perdonarci; siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono a Dio”.

Soltanto così la nostra fragilità non sarà un peso che ci rende insicuri, ma un’occasione per vivere con la gioia che possiedono soltanto coloro che sanno di essere figli di Dio. Questo era il consiglio che dava san Josemaría: “Triste?... Perché sei caduto in quella scaramuccia? No! Allegro! Perché nella prossima, con la grazia di Dio e con la tua umiliazione di adesso, vincerai!” viii.

Allora capiremo che le lacrime che ci hanno condotto fin lì – le sofferenze interiori, la debolezza o i dubbi – valevano la pena. Ci conosceremo meglio e, soprattutto, sapremo di poter contare sull’aiuto del Signore. Quando affidiamo a Dio i nostri problemi e gustiamo la pace e la serena gioia della confessione, comprenderemo finalmente perché Gesù chiamò “beati” coloro che piangono.

* * *

Domande per la preghiera personale

- Pratico la fede soltanto quando mi appare utile? Mi ricordo del Signore soltanto quando ho bisogno di chiedergli qualcosa? Per non dimenticare Dio nei periodi in cui altre cose mi occupano la mente, posso fissare nella giornata un momento per parlare alcuni minuti con Lui o recitare una preghiera? Posso stabilire con il mio direttore spirituale un programma per coltivare un rapporto quotidiano con Dio?

- Accetto le cose che non vanno come vorrei che andassero? Chiedo a Dio che mi aiuti a vedere la sua volontà e a utilizzare queste occasioni per avvicinarmi di più a Lui?

- Quando mi arrabbio o quando una situazione s’ingarbuglia, penso a che cosa potrei fare io stesso? Oppure critico sempre gli altri senza riconoscere mai la mia parte di responsabilità? Chiedo perdono quando mi rendo conto di essermi sbagliato oppure di avere ferito, anche se ciò mi costa?

- Quali ostacoli mi impediscono di chiedere perdono a Dio nella confessione? Se già mi confesso, faccio qualcosa per imparare a confessarmi sempre meglio? Vado a confessarmi con l’atteggiamento di chi va a “vuotare il sacco”, oppure cerco di chiedere perdono al Signore sinceramente, con il cuore?

J. Narbona / J. Bordonaba

iMt 5, 4.

ii C.S. Lewis, Diario di un dolore, Adelphi, Milano 1990.

iii Gv 20, 11-18.

iv Salmo 41 [42], 8.

v Papa Francesco, Omelia, 29-IV-2013.

vi San Josemaría, Cammino, n. 662.

vii Papa Francesco, Omelia, 29-IV-2013.

viii San Josemaría, Via Crucis, III Stazione, n. 3.