L'amore alla Chiesa e al Papa in Cammino

Riproduciamo la traduzione dell'articolo pubblicato in "Estudios sobre Camino" (EUNSA), in cui sono raccolte le considerazioni di San Josemaría sull'amore alla Chiesa e al Papa.

Riproduciamo la traduzione dell'articolo Gonzalo Aranda, José R. Villar pubblicato in "Estudios sobre Camino" (EUNSA), in cui sono raccolte le considerazioni di San Josemaría sull'amore alla Chiesa e al Papa.

«Che gioia poter dire con tutte le forze della mia anima: amo mia Madre, la santa Chiesa!» (Cammino, n. 518). «Grazie, mio Dio, per l'amore al Papa che hai messo nel mio cuore» (Cammino, n. 573). Queste due brevi affermazioni ci svelano i sentimenti di Josemaría Escrivá de Balaguer, ancora giovane sacerdote, nei confronti della Chiesa e del Papa. Il passare del tempo, scenario della fedele corrispondenza di San Josemaría, non avrebbe fatto che affermare, irrobustire e dimostrare con opere, opere et veritate, questi semi sparsi nella sua anima dal Divino Seminatore(1). Però, già dopo i primi anni del suo ministero sacerdotale, in Cammino raccoglie il profondo amore alla Sposa di Cristo e al suo Vicario sulla terra, che si traduce in una sincera e spontanea espansione di gioia e ringraziamento a Dio, manifestando un amore fermamente radicato nel cuore, che viene proclamato con l'assoluta sicurezza della fede.Cammino contiene l'esperienza pastorale accumulata da Mons.

Josemaría Escrivá de Balaguer nei suoi primi anni di attività sacerdotale. La natura dell'opera ci suggerisce il modo adeguato di accedere al suo contenuto. L'autore non pretende di fare una riflessione teologico-dogmatica sui misteri della nostra fede anche se -come è naturale- questi presupposti fanno da sottofondo al vivere cristiano che egli presenta. Torneremo più avanti su questo punto. In ogni caso, la sua mira consiste nel suscitare nel lettore, aiutato dalla grazia divina, desideri di conversione, di amore e di miglioramento spirituale(2). La forma propria di Cammino guarda, quindi, alla vita quotidiana del cristiano, alla traduzione nell'esistenza delle esigenze della fede. Qualche lettore potrebbe sentirsi scoraggiato se cercasse solo riflessioni teologiche originali sulle quali basare, per esempio, l'inizio del rinnovamento ecclesiologico del nostro secolo, per citare l'ambito in cui ci muoviamo. Questo metodo condurrebbe ad un errore di prospettiva che invaliderebbe i risultati(3). Con questo non vogliamo affermare che Cammino manchi di originalità ecclesiologica, ma il suo obiettivo non è offrire una teologia prodotta nella serena quiete dello studio, che poi incida sulla vita cristiana. Piuttosto -e qui si radica il suo valore- mostra una vita fatta realtà nell'esistenza concreta del cristiano, che obbliga la teologia a reimpostare alcuni presupposti non sempre completi. In questo senso, Cammino è profondamente rinnovatore con la perenne novità evangelica(4).

L'amore alla Chiesa e al Papa appare in Cammino come una confidenza amichevole, e una testimonianza personale del suo autore. «Intendo ridestare i tuoi ricordi per far emergere qualche pensiero che ti colpisca», avverte il lettore all'inizio delle sue pagine. In effetti, attraverso espressioni rapide, piene di suggerimenti, esortative e, in ogni caso, illuminanti, Cammino incita il suo interlocutore a risvegliare in se stesso le potenzialità divine che il Battesimo ha depositato nel suo essere. Le sue parole sono impregnate del senso che il cristiano è stato chiamato a una salvezza personale, certamente, ma inserito nella comunità della nuova Alleanza eterna, fondata sul Sangue redentore del Dio fatto Uomo(5).

In Cammino le grandi realtà della nostra vita in Cristo sono tradotte a ciascun cristiano in tono intimo, personale. L’autore desidera, espressamente, raggiungere con la sua penna la vita comune e ordinaria nella quale si svolge il suo lavoro abituale. In questo senso, si comprende che l'amore alla Chiesa e al Vicario di Cristo non appaiono a colpi di argomenti teologici, nei quali la fides quaerens intellectum prevalga su altre considerazioni. Piuttosto, Cammino cerca di suscitare la fides quae per charitatem operatur (cfr. Gal 5,6), una fede ammessa senza vacillare, che porta, per la sua dinamica propria, a essere plasmata in una vita piena di carità, di opere.

L'amore alla Chiesa e al Papa appare in Cammino come una confidenza amichevole, e una testimonianza personale del suo autore

L'amore alla Chiesa e al Romano Pontefice non sono oggetto, quindi, di un trattato apologetico o di uno studio teorico che alimenti esclusivamente l'intelligenza cristiana. Questo processo è dato per acquisito. È, invece, un condividere con i suoi fratelli nella fede l'allegria di servire la Chiesa, la gioia nella contemplazione del mistero, e anche un grido di giubilo nel sapersi inserito in questo modo in Cristo. Chiaramente, tutto questo implica una profonda teologia fatta vita, o, se si vuole, un'esistenza teologale che, senza tentare un'indagine riflessa sulla sua fede, si esprime nelle sue manifestazioni più pratiche. Nelle più semplici ed elementari affermazioni di Cammino si nasconde la ricchezza secolare della fede della Chiesa. Per questo, troveremo nel libro un legame naturale con il patrimonio dottrinale cristiano: quod semper, quod ubique, quod ab omnibus, secondo la celebre espressione di S. Vicente di Lerins(6). E, aggiungiamo, non solo con quello che sempre è stato creduto, ma anche con quello che costantemente i figli della Chiesa hanno convertito in linfa vivificante del loro esistere cristiano(7).

San Paolo insegna che Cristo amò la Chiesa come sua Sposa donando se stesso per renderla santa (Ef 5,25-26). L'apostolo svela ai primi cristiani di Efeso il volto vero della Chiesa: la Sposa resa santa da Cristo. Con ciò, ci introduciamo nella prima dimostrazione di amore dei membri della Chiesa. In effetti, l'adeguata manifestazione di amore dei figli sarà riflettere nelle loro persone il carattere Santo di una tale Madre che li ha generati in Cristo. Questa santità ontologica della Chiesa, riversata dal suo Capo ai membri, spinge i cristiani a manifestare nelle loro vite i «frutti di grazia che lo Spirito produce nei fedeli» (8). In realtà, si potrebbe dire che tutto il contenuto di Cammino riflette questa dimensione dell'amore filiale verso la Chiesa, giacché non intende altro che facilitare la santità personale, soprattutto dei laici, che costituiscono la maggioranza dei suoi membri. Ad essi mostra che il mondo, in cui si sanno immersi, non è qualcosa di occasionale al quale devono far fronte, ma la materia della loro santità e il modo specifico del loro cammino ecclesiale; in questo modo essi assumono in Christo et in Ecclesia le realtà create, forgiando la continuità con il dissolvimento finale della storia, con il momento in cui Cristo ceda il suo dominio al Padre e Dio sia tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15,28).

Le confidenze personali dell'autore di Cammino hanno quindi un'intenzionalità ben chiara, che si percepisce alla luce dello stesso prologo: che anche il lettore entri in strade di santità, per i sentieri di una vita cristiana conforme alla sua nuova nascita in Cristo, e operi coerentemente col suo nuovo essere, come membro del corpo di Cristo che è la Chiesa. La manifestazione dell'amore per la Chiesa consisterà nell'abbellire la Chiesa-Madre con le virtù dei figli. In modo più diretto, lungo tutto il libro, e specialmente nei punti da 517 a 527 -posti sotto il titolo La Chiesa- l'autore vuole risvegliare e consolidare questo amore per la Sposa Immacolata: poco per volta, prendono rilievo i fondamenti di questo amore, le sue caratteristiche, le sue esigenze e, infine, le sue manifestazioni. Naturalmente tutto ciò non appare in forma sistematica, ma lungo i diversi capitoli, che conducono il lettore a prendere sul serio e a rispondere decisamente alla vocazione divina. Compresa in questa vocazione, emerge una dimensione intrinseca dell'esistenza cristiana: non è possibile essere pienamente cristiano e cattolico senza un profondo amore per la Chiesa e per il Papa. Tutta la condotta cristiana deve lasciarsi impregnare di un amoroso sentirecum Ecclesia, traduzione visibile dell'unione feconda dei tralci con la Vite, Cristo (cfr. Gv 15,5) (9). E, come criterio immediato di questa vita di comunione, il cristiano guarda al Vescovo di Roma, Il fondamento dell'amore alla Chiesa

L'amore alla Chiesa è, in Cammino, qualcosa di connaturale al cristiano. Sgorga spontaneamente dalla meditazione sulla natura della Chiesa ed è unito inseparabilmente all'amore a Gesù Cristo, inserito nel processo di identificazione con Lui. Non si può separare il Corpo dal suo Capo, né la Sposa dallo Sposo. La fede in Gesù Cristo contiene la fede nella Chiesa.

a) La fede nella Chiesa

Grazie al magistero del Concilio Vaticano II ai nostri giorni abbiamo una guida sicura per penetrare, a partire dalla fede, nel mistero della Chiesa. In effetti, la Chiesa è una realtà soprannaturale che entra nel contenuto dell'atto di fede. Come tale la professiamo nel Credo, fin dai primi Simboli. La Chiesa, vincolata nella sua origine nel tempo con l'Incarnazione del Verbo Redentore(11), porta nella sua natura, nella sua origine, nel suo sviluppo e nel suo destino finale il segno del mistero di Dio Uno e Trino. Questa Chiesa, nella quale Cristo si fa presente nel mondo (12), è insieme palpabile e presente nella vita umana, pur essendo trascendente alla sua visibilità storica. È il regno di Cristoin mysterio, che cresce fino alla consumazione finale(13).

Per comprendere quello che la Chiesa è, bisogna contemplarla con la visione elevata dal dono della fede, e così si arriva, prima che a una comprensione intellettuale -per la quale si sforzano di i teologi, pur coscienti che mai arriveranno ad esaurirla-, ad una vita interiore, una partecipazione connaturale della scienza divina che produce sapienza e gioia. È significativo, a questo riguardo, trovare, già nel primo punto di Cammino dedicato alla Chiesa, un incitamento alla meditazione del mistero, preso spontaneamente dalle parole del Credo: «Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam!...” —Mi spiego quella tua pausa, quando reciti, assaporando: credo la Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica...» (n. 517). Queste parole ci pongono davanti al mistero della Chiesa, che è realtà di grazia invisibile e, inseparabilmente, una concreta comunità visibile sulla terra. Si tratta della Chiesa di Gesù Cristo, riconosciuta nelle quattro note classiche, cioè, quelle proprietà della natura della Ecclesia in terris, che la tradizione e la teologia hanno esplicitato a partire dall'articolo del Simbolo professato, e che si danno solo nella Chiesa Cattolica come realtà storica visibile.

Per comprendere quello che la Chiesa è, bisogna contemplarla con la visione elevata dal dono della fede, e così si arriva, prima che a una comprensione intellettuale, ad una vita interiore

L'incontro salvifico con Cristo è possibile solo nella sua comunità di salvezza, nella Chiesa che Cristo ha voluto(14). Non c'è vita pienamente cristiana, di Cristo, al margine della sua Chiesa. Questa visibilità istituzionale non è un puro accidente necessario alla nostra condizione umana e, in questo senso, sprovvisto di significato salvifico. La fede porta ad accettare che Cristo ha stabilito la dimensione istituzionale (sacramenti, gerarchia, ecc.), come mezzo di salvezza, strumento di una mediazione di grazia: la Chiesa «è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano»(15). La fede nella Chiesa si riconduce alla fede in Cristo, che l'ha dotata di efficacia; la decisione nei confronti della Chiesa comporta una presa di posizione riguardo a Cristo (cfr. Lc 10,16). Questo gusto spirituale –"assaporate", dice l'autore(16)- nell'unità, santità, cattolicità e apostolicità, racchiude il nucleo stesso della confessione di fede nella continuità storica di Cristo nella Chiesa. Cristo, oggi, continua ad offrire la salvezza ad ogni uomo, in una comunità concreta e definita.

Però se la fede è elemento che edifica la vita cristiana in Ecclesia, Cammino non dimentica che, insieme alla fede, ci sono i sacramenta fidei: «Che bontà ha avuto Cristo nel lasciare alla sua Chiesa i Sacramenti! —Sono rimedio a ogni necessità.—Venerali e sii profondamente riconoscente al Signore e alla sua Chiesa» (n. 521). La Chiesa, dispensatrice dei canali della grazia, rende accessibile, hic et nunc, il contatto salvifico con Cristo. Però è al Signore che si rivolge, in primo luogo, il ringraziamento, giacché volle, nella sua infinita bontà, una nuova economia di grazia per mezzo di segni efficaci. Cristo stesso continua ad agire per mezzo del gran sacramento della Chiesa. Davanti alla misericordia divina, ci suggerisce Cammino, c'è posto solo per amore, venerazione, gratitudine.

b) Il regno di Cristo sulla Terra

La Chiesa è di Gesù Cristo. È il suo corpo, la sua Sposa; egli è il suo Capo, il suo Signore. Solo nel suo nome e, ancor più, perché Lui stesso agisce in essa, la Chiesa può offrire rimedio alle necessità più profonde dell'uomo. Però questo richiede di lasciare il passo al dominio di Cristo nei cuori umani, che li rende veramente liberi dalla schiavitù del peccato. Ecco un altro motivo di amore alla Chiesa, che non passa inavvertito alla meditazione di Cammino.Questa signoria di Cristo, presente in molti punti del libro, l'autore la descrive come frutto dell'intreccio del potere della grazia divina e della libera corrispondenza umana. La Chiesa si mostra così come l'ambito del regno di Cristo che si stabilisce per la parola di Dio che, nella Chiesa, suscita la risposta di fede; e per mezzo dei sacramenti, che realizzano veramente quello che viene annunciato. Il cristiano che lascia crescere il Regno nella sua vita diviene portatore del regno di Cristo, con la sua vita santa e col suo apostolato: «(…) Se sei generoso..., se corrispondi, con la tua santificazione personale, otterrai quella degli altri: il regno di Cristo»(n. 833). Il cristiano deve identificarsi con un desiderio appassionato di estendere il regno di Cristo -«Dio e audacia! —“Regnare Christum volumus!”», avrebbe scritto nel punto 11- che porti a seminare, nel nostro camminare terreno, un germe vero del Regno «(…) —Dio vuole un pugno di uomini “suoi” in ogni attività umana. —Poi... pax Christi in regno Christi —la pace di Cristo nel regno di Cristo»( n. 301).

Venticinque anni dopo la prima edizione di Cammino nel 1939, il Concilio Vaticano II avrebbe insegnato che tutta la Chiesa riceve la missione di annunciare e instaurare il regno di Cristo. Essa stessa viene ad essere, hic in terris, il suo germe e principio(17). Ogni cristiano partecipa a questa missione. Cammino è impregnato di questa comprensione della relazione esistente tra la Chiesa e il Regno di Cristo, e specialmente del compito di ogni cristiano nella sua edificazione, esposto in questo dialogo diretto con il lettore che caratterizza l'opera di San Josemaría. Attraverso la Chiesa, il cristiano costruisce un regno -con Cristo-, che, senza dubbio, si consumerà nel tempo escatologico, però si edifica già ora. Questa sarà una delle ragioni per amare la Chiesa e donarsi con gioia all'apostolato: «“Et regni eius non erit finis”. —Il suo Regno non avrà fine! Non ti dà gioia lavorare per un regno così?» (n. 906).

I prodigi, gli interventi salvifici di Dio che la Sacra Scrittura ci narra, avvengono anche ora nel suo nuovo popolo, però -come tante volte ci avvertono i Vangeli- Cristo esige la fede in Lui

Poiché la Chiesa è già il Regno di Cristo nel suo inizio, ed Egli è il suo fondamento attuale e perenne, Cammino trasmette la sicurezza conferita dalla promessa dell'indefettibilità; la Chiesa, che peregrina tra «le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», come ricordava il Vescovo di Ippona, non tramonterà. Questa stessa convinzione di sempre deve sostenere la fede del cristiano di fronte alla persecuzione e alla contraddizione -«l'albero della Chiesa non c'è vento né uragano che possa svellerlo»-che Dio permette a volte, come purificazione (18). In un certo senso, la sorte è decisa in modo definitivo. Però il potere sovrano di Dio chiede una condizione per dispiegarsi: «Dio è sempre lo stesso. —Occorrono uomini di fede: e si rinnoveranno i prodigi che leggiamo nella Sacra Scrittura. —“Ecce non est abbreviata manus Domini” — Il braccio di Dio, il suo potere, non s'è rimpicciolito!» (n. 586). L'autore vuole porci nella prospettiva giusta, di fronte alla facile tentazione di una visione meramente umana dell'azione della Chiesa. In effetti, è il Signore che continua ad operare tra gli uomini quando trova fede. I prodigi, gli interventi salvifici di Dio che la Sacra Scrittura ci narra, avvengono anche ora nel suo nuovo popolo, però -come tante volte ci avvertono i Vangeli- Cristo esige la fede in Lui.

Cammino non è un libro che inciti a desiderare fatti spettacolari nella Chiesa, o a sollecitare gli interventi strepitosi dell'onnipotenza divina. Certamente a volte questi saranno necessari. Tuttavia, dall'intero libro traspare l'amore per l'azione straordinariamente abituale di Dio nelle nostre vite. È illuminante, a questo riguardo, tutto il capitolo dedicato alle Cose piccole. Sarebbe un grave sproposito per il cristiano trascurare, tenere in poco conto, le vie abituali attraverso le quali il Signore continua a realizzare nella Chiesa prodigi silenziosi: la vita sacramentale, l'orazione, la formazione nella fede, il lasciarsi guidare dall'attenzione pastorale e materna della Chiesa. L'amore e la fede in Cristo implicano amore e fede nella Chiesa, dove inizia il regno, che cresce, oggi e adesso, ma in mysterio, svelato, cioè, solo ad uno sguardo di fede.

c) Il cristiano, figlio della Chiesa: coinvolto nella sua missioneL'amore alla Chiesa si fonda sul fatto che è opera di Cristo. Egli l'ha fondata, le invia il suo Spirito, e continua ad essere presente, operativo ed efficace, in essa e attraverso di essa. La Chiesa, inviata da Lui al mondo intero, riceve la missione di annunciare e realizzare la salvezza realizzata una sola volta per mezzo del Sangue del suo Signore. Cammino porta ciascun cristiano a sentirsi coinvolto nella missione: «“Andate, predicate il Vangelo... Io sono con voi...”. —Lo ha detto Gesù... e lo ha detto a te» (n. 904). Con queste parole vuole risvegliare la "memoria" cristiana della missione, custodita nella Scrittura e nella Tradizione(19).

In effetti, c'è una continuità reale tra i discepoli diretti di Gesù, coloro che vennero in seguito nelle generazioni successive e noi che oggi formiamo la Chiesa nel XX secolo. In certo modo, l'autore descrive la Chiesa come una grande famiglia, la "famiglia di Dio" della quale parla l'Apostolo (cfr. Ef 2,19-22; LG, n. 6), nella quale esistono delle consuetudini familiari, una tradizione, dei vincoli intimi soprannaturali tra i membri e, infine, un destino comune, una missione solidale, per la quale possediamo dei mezzi: il Crocefisso e il Vangelo(20). Gli apostoli sono chiamati a volte "i primi"(21), indicando in questo modo che gli altri formano una catena che li raggiunge nel tempo, però, soprattutto, che "i primi" -gli apostoli, i discepoli, quelli che accolsero la buona novella a partire dalla Pentecoste- definiscono con la loro vita delle condotte normative per le generazioni successive, uno spirito che si trasmette fatto vita. Prima di tutto c'è, naturalmente, l'esempio del Maestro(22). Poi, la condotta apostolica: «Bevi alla fonte chiara degli “Atti degli Apostoli" (…)» (n. 570); e a quella dei discepoli: «(…) cerca di conoscere e di imitare la vita dei discepoli di Gesù, di coloro che frequentarono Pietro e Paolo e Giovanni, e furono forse testimoni della Morte e della Risurrezione del Maestro»( n. 925).

Conoscere, vivere e amare quei primi passi della Chiesa non sarà tanto una pura conoscenza, qualcosa di freddo e in fondo lontano, quanto cercare di incorporarsi pienamente a una comunione di fede, speranza e amore con i primi nel tempo.

Il cristiano non può contemplare la Chiesa come qualcosa che le è estraneo, che si osserva e si giudica esteriormente.

La coscienza di partecipare di una stessa fede, degli stessi sacramenti e di un'identica missione -compiere "un mandato imperativo di Cristo"(23)-, ci introduce, quindi, in una prospettiva solidale, "familiare" dicevamo prima, della natura della Chiesa. Il cristiano non può contemplare la Chiesa come qualcosa che le è estraneo, che si osserva e si giudica esteriormente. Attenterebbe contro se stesso; egli stesso resterebbe incomprensibile al margine della sua Famiglia. Deve sentirsi un membro tra gli altri, chiamato per vocazione divina. Cammino riafferma questa visione sul modo di essere e vivere in Ecclesia, quando inquadra la relazione di ogni membro con la Chiesa come una relazione filiale, il vincolo amoroso che unisce un figlio a sua Madre. Basta ricordare San Cipriano e Sant'Agostino per verificare che ci troviamo davanti al patrimonio genuino della tradizione(24). La relazione filiale con la Chiesa appare fortemente personalizzata: la Chiesa è «mia Madre»; «io sono figlio della Chiesa»(25).

L'amore sorgerà come la manifestazione più naturale, mentre il rifiuto, il disamore, apparirà come un'aberrazione. La Chiesa è Madre che genera figli alla vita soprannaturale, li alimenta e irrobustisce con i sacramenti -specialmente con l'Eucarestia-, che mostra loro i misteri divini. Considerando la Chiesa come Madre, ogni cristiano può fare sue le parole che il salmista cantava sopra Gerusalemme: «mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia» (Sal 137,6). In effetti, la Chiesa è chiamata nella Sacra Scrittura nostra Madre e Gerusalemme celeste. La chiama così San Paolo in Gal 4,26, stabilendo una contrapposizione tra la Gerusalemme storica, rappresentata da Agar, la sposa schiava di Abramo, e la Chiesa come popolo nato dalla nuova Alleanza, rappresentata da Sara, la sposa libera. La Chiesa è la Gerusalemme del cielo, libera; e se Gerusalemme viene chiamata Madre, perché tutti sono nati in essa (Sal 87,5), quanto più questo stesso si dice ora della Chiesa, nella quale siamo nati come figli di Dio.

Alcune caratteristiche dell’amore alla Chiesa

L’amore alla Chiesa si basa su una profonda visione di fede nella sua natura: la mediazione visibile per cui Cristo continua ad agire nella storia; il regno di Cristo che cresce nel tempo; la comunione dei discepoli di Cristo, dagli Apostoli a noi; nostra Madre da cui siamo nati alla vita della Grazia. Questi sono i motivi per i quali alla Chiesa si deve amore, venerazione e fedeltà.

Non troveremo nella lettura di Cammino una definizione teorica, sistematica e dettagliata di quello che è l’amore alla Chiesa; vi potremo percepire invece le sensazioni che accompagnano questo amore e le peculiari espressioni presentate. In tal senso, l’autore segue un metodo semplice: in primo luogo, l’amore lo si vive; poi lo si descrive, lo si riflette concretamente e solo dopo tutto ciò lo si trasmette nella sua interezza con la propria esperienza personale. In concreto, l’amore alla Chiesa è un dono di Dio. Perciò il libro non cerca di convincere il lettore, quanto di accompagnarlo nel suo “cammino“ interiore, facendogli scoprire la bellezza della Chiesa, nella speranza che la grazia lo smuova e lo spinga a unirsi alla sua ammirazione.

Cammino non cerca di convincere il lettore, quanto di accompagnarlo nel suo “cammino“ interiore, facendogli scoprire la bellezza della Chiesa

a) L’amore alla Chiesa porta a catturare, nell’esperienza abituale ed ordinaria, i riflessi della sua essenza intima: la Comunione dei Santi. «Vivete una vostra particolare Comunione dei Santi: e ognuno sentirà, al momento della lotta interiore, come pure al momento dell'impegno professionale, la gioia e la forza di non essere solo (n. 545). Vivere nella Chiesa è lasciarsi inondare completamente dalla vita di comunione con Dio e con l’umanità (cfr. Cost. Dogm. Lumen Gentium, n. 1); con ciò, la fraternità cristiana, lontana da una filantropia illuminata, risulta una condotta fondata su Cristo: «Salutate tutti i santi. Tutti i santi vi salutano. A tutti i santi che sono in Efeso. A tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi”. —Non è davvero commovente questo appellativo —santi!— che i primi fedeli cristiani impiegavano per nominarsi fra loro? —Impara a trattare i tuoi fratelli» (n.469). Da questa convinzione di “vivere in mezzo ai santi”, estranea a una concezione paradisiaca che ignori la caduta originaria(26), nascono le amabili esigenze della fraternità ecclesiale: la carità silenziosa(27), la lealtà incondizionata ai fratelli nella fede(28), ecc.; in definitiva, la fortezza che tutti i figli di una stessa Madre devono scambiarsi tra di loro(29).

Amare la Chiesa presuppone sentire con essa, essere partecipi delle sue gioie e delle sue sofferenze, vivere praticamente la gioiosa realtà della comunione dei santi, abbracciando, al di là della nostra generazione, tutti coloro che ci hanno preceduto. Uniti nella penitenza(30), contempliamo nel corpo le sofferenze di Cristo per la sua Chiesa (cfr. Col 1,24); uniti nello slancio apostolico per amore a Gesù(31).b) Un’altra caratteristica dell’amore alla Chiesa, fortemente rispecchiata in Cammino, è la dimensione universale che lo stesso amore acquisisce. La Chiesa è “cattolica”, “universale”, ed assume tutto lo slancio nobile e veramente umano, in Cristo: «Cattolico!, Cuore grande, spirito aperto», esclamerà l’autore (32). L’orizzonte di un figlio della Chiesa, che abbandona uno spirito rimpicciolito e di corte vedute, è il mondo intero. Amare la Chiesa suppone amare in Cristo e per Cristo tutte le realtà umane uscite dall’amore creatore di Dio.

L’amore alla Chiesa spinge, a sua volta, a riconoscere l’azione dello Spirito Santo che agisce dove vuole e come vuole. Bisogna rallegrarsi del lavoro che gli altri realizzano servendo la Chiesa: «È cattivo spirito il tuo se ti duole che altri lavorino per Cristo senza chiedere la tua collaborazione»(33). Denoterebbe un falso amore lo spirito esclusivista che, per principio, sospettasse o vedesse con pregiudizio qualsiasi iniziativa o movimento apostolico che sorga nel seno della Chiesa. In Essa ci devono essere molte strade, ci ricorda l’autore nel punto 964: «(…) perché tutte le anime possano trovare la loro, in questa varietà ammirevole. (…)». Tale diversità non minaccerà l’unità della Chiesa, quando prende origine dallo Spirito Santo, poiché lo Spirito la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici e l’abbellisce dei suoi frutti (cfr. Cost. Dogm. Lumen Gentium, n. 4). Non resta che rallegrarsi e amare tale varietà: «Rallégrati, se vedi che altri lavorano in fecondi apostolati. —E chiedi, per loro, grazia di Dio abbondante e corrispondenza a questa grazia (…)»(n. 965) (34).

Esigenze fondamentali dell’amore alla Chiesa

Il cristiano, se è consapevole della sua vocazione, non può non sentire in sé il riflesso della santità della Chiesa, e, allo stesso tempo, la sua partecipazione alla missione ad essa affidata. In primo luogo è impegnato a far trasparire nella sua vita lo spirito della sua Madre santa; in secondo luogo, il suo amore alla Chiesa comporterà un costante stimolo a compiere con maggior fedeltà la parte che gli corrisponde nella missione; e questo stesso amore lo porterà a difenderla, ad amarla nelle sue istituzioni e a vibrare interiormente con la vita della Chiesa.

a) Abbiamo accennato all’inizio di questo articolo alla santità della Chiesa. Infatti, Essa appare nella storia e nel mondo come un popolo santificato dal sangue di Cristo; gente santa, popolo santo, lo chiama san Pietro nella sua prima lettera (1Pt 2,9). La Chiesa è la Sposa dell’Agnello Immacolato. E il Concilio Vaticano II, partendo proprio da questa santità della Chiesa, ricorda ai cristiani le esigenze della loro vocazione battesimale: “Perciò tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla santità” (Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 39). San Josemaría Escrivá de Balaguer, per tutta la vita e fin dai primi anni, trasformò in asse portante del suo ministero sacerdotale suscitare nei cristiani la loro consapevolezza d’essere stati chiamati alla santità. In Cammino, la chiamata universale alla santità e all’apostolato risuona dappertutto ed è rivolta principalmente ai cristiani comuni: «Hai l'obbligo di santificarti. —Anche tu. Chi pensa che la santità sia un impegno esclusivo di sacerdoti e di religiosi? A tutti, senza eccezione, il Signore ha detto: “Siate perfetti, com'è perfetto il Padre mio che è nei cieli”» (n. 291) (35).

Giacché la Chiesa è Santa, la prima manifestazione d’amore è cercare la santità propria e quella degli altri membri della Chiesa.

Giacché la Chiesa è Santa, la prima manifestazione d’amore è cercare la santità propria e quella degli altri membri della Chiesa. Questo è il miglior servizio alla Chiesa e il modo adeguato di appartenervi in pienezza. Per Cammino, il pensiero del danno che può costituire l’infedeltà è un forte stimolo alla propria responsabilità: «Ti sarà più facile compiere il tuo dovere se pensi all'aiuto che ti prestano i tuoi fratelli e all'aiuto che tu smetti di dar loro se non sei fedele» (n. 549).

b) La santità personale comporta in modo ineludibile una missione apostolica: è l’altra esigenza dell’amore. Prima consideravamo il personale impegno apostolico che l’autore fa scoprire a ciascuno di noi: “Andate, predicate il Vangelo…” (…) lo ha detto a te” (cfr. n. 904). In Cammino vengono anticipate – come si sa – le caratteristiche della missione specifica dei fedeli laici, indicate successivamente dalla Costituzione Dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano II, in particolare quando il Concilio dà risalto alla vocazione dei laici all’apostolato e quando segnala il loro apporto specifico e indispensabile nella missione della Chiesa (cfr., p.e., Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 33).

Naturalmente, nell’opera le affermazioni al riguardo, non espresse con un linguaggio accademico, sono piuttosto, come corrisponde al genere del libro, regole per un concreto sviluppo. Non è il momento di soffermarci sul tema studiato già in altra sede. In definitiva si tratta di mettere il cristiano di fronte alla sua condizione e, pertanto, illuminarlo nel suo agire nella società, nel luogo in cui incontra Dio o meglio, con parole del Concilio, là dove Dio lo ha chiamato: ibi a Deo vocantur (cfr. Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 31).

L’autore, consapevole che il suo abituale lettore farà parte della grande moltitudine dei componenti del Popolo di Dio impegnati nelle attività umane insieme agli altri fratelli, è cosciente che il suo operare avrà una caratteristica secolare e, pertanto, rispettosa del valore intrinseco delle realtà create. Anche in questo si manifesta l’amore alla Chiesa: «Quando persone professionalmente mal considerate si agitano alla testa di manifestazioni esteriori di religiosità, sono sicuro che sentite la voglia di dir loro all'orecchio: “Per favore, abbiano la bontà d'essere meno cattolici!”» (n. 371). Espressione paradossale dell’autore, con la quale vuole difendere la Madre dai difetti dei propri figli.

Dato che l’attività della maggior parte dei cristiani non risponde a un mandato ufficiale ecclesiastico, si può avere l’erronea tentazione di pensare che, in un certo senso, la loro condotta secolare sia distante dalla loro vocazione divina o, perfino, che tra esse non ci siano punti di contatto. Tuttavia, nonostante che il loro operare di ogni giorno non sia affatto ecclesiastico, esso è però ecclesiale: non si smette mai d’essere membro della Chiesa. E il suo amore alla Chiesa si manifesterà nella sua inquietudine apostolica («Piccolo amore è il tuo se non senti lo zelo per la salvezza di tutte le anime (…)» , n. 796); nel suo sentirsi coinvolto, là dove si svolge il suo lavoro, nella missione apostolica di tutti: «Tieni presente, figlio mio, che non sei soltanto un'anima che si unisce ad altre anime per fare una cosa buona. Questo è molto..., ma è poco. —Sei l'Apostolo che compie un mandato imperativo di Cristo» (n. 942). Un mandato che spinge il cristiano a compiere la propria missione nel luogo dove lavora e nella società; ovviamente, senza far diventare ecclesiastici gli ambienti dove si svolgono le sue occupazioni, ma senza dimenticare di sentire cum Ecclesia, cioè di sentire la sua condizione di cristiano che proprio lì è stato chiamato da Dio ad impregnare quelle realtà con lo spirito del Vangelo e a lavorare per il Regno di Cristo(36).

Cammino ci ricorda l’assurdità di una doppia vita del cristiano che prescindesse dalla sua condizione, quando è richiesta la sua fattiva presenza nell’edificare la società umana. Un atteggiamento simile, che ridurrebbe l’operatività della fede all’ambito meramente intraecclesiale, toglierebbe vigore all’apporto proprio e specifico dei laici(37). Al cattolico viene chiesto di essere tale in qualsiasi circostanza della vita. E ancor più, deve essere disposto a sacrificare tutto per servire «(…) anche a prezzo dei beni terreni, dell'onore e della vita, la Chiesa di Dio» (n.519); disposto a sopportare tutto propter electos, per la salvezza dei suoi fratelli, come ha fatto san Paolo(38).

Cammino ricorda la particolare responsabilità che spetta in questo ambito a quei cristiani il cui lavoro – nei mezzi di comunicazione sociale, o per il loro mandato nella vita pubblica o per la loro preparazione scientifica – svolgono una professione di grande influenza sociale

c) Il cristiano è membro della comunità umana e anche – non può dimenticarlo – della Chiesa. Il suo amore ad Essa lo porterà, senza aspettarsi altri titoli – oltre a quello del Battesimo! – a difendere sua Madre come un buon figlio. Il libro ricorda la particolare responsabilità che spetta in questo ambito a quei cristiani che svolgono – nei mezzi di comunicazione sociale, o per il loro mandato nella vita pubblica o per la loro preparazione scientifica – una professione di grande impatto sociale, che non deve arrecare danno alla Chiesa: «Quanti delitti si commettono in nome della giustizia! —Se tu vendessi armi da fuoco e qualcuno ti offrisse il prezzo di una per uccidere tua madre, gliela venderesti?... Ebbene, non ti dava forse il giusto prezzo?... —Docente, giornalista, politico, diplomatico: meditate» (n.400).

Sarà sempre necessario difendere la Chiesa; il discepolo non è più del Maestro e, come Lui, la Chiesa tra gli uomini sarà sempre segno di contraddizione. In certo qual modo, la fedeltà a Gesù sembra portare questo sigillo di autenticità. E, ciò nonostante, l’invito evangelico ad assomigliare al candore della colomba include anche l’astuzia del serpente. Forse una caricatura della vera umiltà –molte volte nata per un disinteresse personale – ha permesso, come testimonia la storia, la rinuncia ai diritti da parte dei cristiani – certamente in circostanze imposte dalla violenza – riproponendo così il racconto evangelico: è spuntata la zizzania nella Vigna del Signore. Inimicus homo fecit (Mt 13,28). Altre volte un complesso d’inferiorità davanti a un mondo dominatore con le sue conquiste tecniche e scientifiche sembra far rifugiare il cristiano in un “fideismo pratico”, la fede del carbonaro –molto legittima da una parte, però senza dubbio pericolosa ai nostri giorni –, prodotta più dalla ritirata dal fronte di battaglia che da altri motivi.

Si capisce, quindi, come Cammino non scende a patti con questo stato di cose: «Una volta, poiché le cognizioni umane —la scienza— erano molto limitate, sembrava davvero possibile che un solo individuo dotto potesse prendere le difese e fare l'apologia della nostra Santa Fede. Oggi, con l'estensione e l'intensità della scienza moderna, è necessario che gli apologisti si dividano il lavoro per difendere la Chiesa scientificamente, in tutti i campi. —Tu... non puoi sottrarti a quest'obbligo» (n. 338). Una dimostrazione, opere et veritate, di amore alla Chiesa sarà, allora, coltivare l’intelligenza, elevandola alla luce della fede e alimentandola con la dottrina di Cristo.

Se l’amore fa sentire ai figli qualsiasi attacco alla Madre come fatto a loro stessi, sarebbe deplorevole che, mettendo da parte il senso comune, ci fossero dei cristiani che – per ingenuità o per inconfessabili interessi egoistici – si unissero al coro di quelle persone che, in un modo o nell’altro, trattano senza rispetto la Chiesa, la sua fede o le sue istituzioni. Riferendosi a possibili – o reali – attacchi alla Chiesa da parte della scienza, l’autore ci consiglia: «Servire da altoparlante al nemico è suprema idiozia; e, se il nemico è nemico di Dio, è peccato grande. —Per questo, in campo professionale, non loderò mai la scienza di chi se ne serve come cattedra per attaccare la Chiesa» (n. 836). Il consiglio continua a essere attuale.

d) In Cammino, le espressioni in cui è riassunto l’amore alla Chiesa non si riducono a un mero atteggiamento di difesa di fronte alle insidie esterne. È naturale che l’amore porti, in modo primario, al riconoscimento delle meraviglie di Dio, dell’azione di Dio, della grandezza dell’operare divino nella sua Chiesa.

L’opera ci incoraggia, come esigenza derivante dall’amore, all’apprezzamento e alla venerazione, ad esempio, del dono del sacerdote ministeriale, fondato sulla rappresentazione di Cristo che è il Sacerdote: «Il Sacerdote —chiunque egli sia— è sempre un altro Cristo» (n. 66); o anche il rispetto per il carisma religioso, nelle sue molteplici espressioni volute dallo Spirito Santo: «Se non hai somma venerazione per lo stato sacerdotale e per lo stato religioso, non è vero che ami la Chiesa di Dio» (n. 526). Il motivo di questo amore può essere ricondotto, di conseguenza, alla fede nella presenza di Cristo nei suoi ministri, nel primo caso, o al riconoscimento del dono di Dio alla Chiesa, nel secondo.

e) Infine, non poteva mancare nell’opera di san Josemaría, nella quale si avverte la sua vibrazione per la santità della Chiesa, un riferimento diretto e incisivo alla liturgia, e alla preghiera del Corpo mistico di Cristo, Capo e membra. La liturgia costituisce, per così dire, la vita interiore della Chiesa, che deve dare nutrimento alla vita personale del cristiano. D’altra parte un membro della Chiesa deve riconoscere nella liturgia un motivo in più per rendere grazie a Dio, che ha voluto questa economia di grazia accessibile all’uomo, tradotta in segni; in particolar modo deve essere riconoscente – lo abbiamo visto in precedenza – per quei segni che ne realizzano con efficacia il significato: i sacramenti (nei quali agisce lo stesso Cristo: cfr. n. 521). L’intera vita liturgica rende presente – anche se in modo diverso – il mistero cristiano. Perciò è degna di venerazione e necessaria: «Abbi venerazione e rispetto per la Santa Liturgia della Chiesa e per ogni rito in particolare. —Seguili fedelmente. — Non vedi che noi, piccoli uomini, abbiamo bisogno che perfino le cose più nobili e grandi entrino attraverso i sensi?» (n. 522). Un rispetto che Cammino estende alla cura e allo splendore con cui si deve trattare tutto ciò che è in relazione al culto divino. L’amore al Signore, alla Chiesa, alla liturgia porta a non lesinare nulla davanti alla magnificenza divina, come dimostra la scena evangelica in Mt 26, 6-13, meditata in Cammino, al n. 527: « Quella donna che in casa di Simone il lebbroso, a Betania, unge il capo del Maestro con un ricco profumo, ci ricorda il dovere d'essere splendidi nel culto di Dio. —Tutto il lusso, la maestà e la bellezza mi sembrano ben poco. —E, contro coloro che biasimano la ricchezza dei vasi sacri, dei paramenti, delle pale d'altare, si innalza la lode di Gesù: “Opus enim bonum operata est in me” —ha compiuto un'opera buona verso di me».

Sentire cum Ecclesia, nella vita liturgica, implica coltivare la vita interiore in consonanza con la preghiera “familiare” della Chiesa; pregare con la liturgia: «La tua preghiera deve essere liturgica. —Magari ti affezionassi a recitare i salmi e le preghiere del messale, invece delle preghiere private o particolari!» (n. 86); cantare con la liturgia (39); trovare nella sua solenne sobrietà il passaggio di Dio tra gli uomini (40). L’autore, fin nei più piccoli dettagli, rivela la manifestazione di una fede viva, la serena presenza di Dio davanti a cui l’uomo ne riconosce la signoria e l’onore (41).

Tutto ciò porta ad apprezzare anche le ricche espressioni di fede racchiuse nelle devozione popolari: «Chi ti ha detto che fare delle novene non è virile? —Tali devozioni saranno virili se chi le pratica è un uomo..., con spirito d'orazione e di penitenza» (n. 574).

L’amore al Papa

All’inizio di queste pagine abbiamo detto che l’amore alla Chiesa costituisce uno dei fili conduttori di Cammino che arricchiscono il tessuto soprannaturale dell’esistenza cristiana. Nel contenuto di questo amore alla Chiesa non può mancare l’amore al Romano Pontefice. Per l’autore, il Papa è semplicemente – con tutto ciò che questo implica – “Pietro”, il pescatore di Galilea chiamato da Gesù a essere roccia ferma sulla quale si sarebbe appoggiata la fede dei suoi fratelli, una fede sicura perché può contare sulla preghiera infallibile di Cristo (cfr. Lc 22,32).

In Cammino non si vuole elaborare una teologia del primato, ma si vuole suscitare la fede che riconosce nel Papa la perenne presenza del ministero petrino di unità e di comunione.

Il Papa, chiunque esso sia, è Pietro e, di conseguenza, è il cammino sicuro per arrivare a Cristo: «Omnes cum Petro ad Iesum per Mariam», l’autore ci propone come orientamento per la vita cristiana nel punto n. 833. Il Romano Pontefice è visto, difatti, in qualità di Successore di Pietro, come Capo visibile della Chiesa. Il Papa – come dirà la teologia – sicuramente non possiede tutte le prerogative di Pietro, testimone oculare della vita di Gesù. In Cammino non si vuole elaborare una teologia del primato, ma si vuole suscitare la fede che riconosce nel Papa la perenne presenza del ministero petrino di unità e di comunione. Come l’Apostolo delle genti decise, dopo la sua conversione e mosso dalla fede nel ministero di Pietro nella Chiesa, di andare a Gerusalemme per "videre”, per “vedere Pietro” (cfr. Gal 1,18), così in Cammino l’autore ci invita a consolidare la coscienza d’essere figlio della Chiesa, e la gioia di appartenere alla Chiesa Cattolica Romana, riconoscendo il Vicario di Cristo in terra: «Cattolico, Apostolico, Romano! —Mi piace che tu sia molto romano. E che abbia desiderio di fare il tuo pellegrinaggio a Roma, videre Petrum, per vedere Pietro» (n. 520).

I desideri di comunione e il fervente amore al Papa vengono considerati in Cammino come un dono di Dio che dobbiamo saper apprezzare: «Grazie, mio Dio, per l'amore al Papa che hai messo nel mio cuore» (n. 573). Infatti, quantunque l’amore al Papa possa essere coltivato e accresciuto nel nostro cuore, esso è, in ultima analisi, il frutto dell’azione dello Spirito Santo, che è l’anima della Chiesa, e colui che semina l’unità nel cuore di tutti cristiani.

Per concludere, l’amore alla Chiesa e al Papa in Cammino non è una consapevolezza secondaria o accidentale, ma costituisce una delle linee di forza più profonde del contenuto del libro, insieme alla filiazione divina e alla chiamata del cristiano a vivere la santità in mezzo al mondo e nel lavoro ordinario. L’amore alla Chiesa acquisisce una dimensione molto concreta nell’amore alle realtà visibili nelle quali Essa si manifesta e si sviluppa lungo la storia: la liturgia, la dottrina, il Papa, lo stato sacerdotale, i fratelli nella fede, e tutti gli uomini, chiamati a partecipare alla salvezza che Cristo offre mediante la Chiesa. Perciò l’amore alla Chiesa deve essere una forza che spinge il cristiano alla ricerca della santità e all’apostolato. E di conseguenza a conquistare la santità in mezzo alle realtà temporali, lì dove la Chiesa si inserisce nel mondo per santificarlo dal di dentro.

Questo amore alla Chiesa, concreto e operativo, viene percepito in Cammino come dono di Dio fatto all’uomo

Questo amore alla Chiesa, concreto e operativo, viene percepito in Cammino come dono di Dio fatto all’uomo, come qualcosa che Dio stesso ha messo nel cuore del cristiano e, in questo caso, anche nel cuore dell’autore del libro. Lo stesso amore si innesta sulla virtù teologale della carità, giacché l’amore del cristiano alla Chiesa è partecipazione del medesimo amore con cui l’ama Cristo. Il cristiano ama allora la Chiesa con l’amore di Dio e di Cristo che è stato versato nei nostri cuori dallo Spirito Santo che si è dato a noi (Rm 5,5). Il cristiano può contemplare nella Chiesa la bontà e l’amore di Dio che ci si è manifestato in Cristo e ci unisce attraverso le azioni sacramentali della Chiesa. Considerando la realtà soprannaturale e al contempo umana della Chiesa, si capisce la profonda verità dell’amore, che consiste non nel fatto che noi abbiamo amato Dio ma nel fatto che Lui ha amato noi e ci ha inviato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati (1Gv 4,10). Così l’amore alla Chiesa è veramente un dono di Dio, ma un dono rivolto a suscitare nel cristiano sentimenti di gioia e di fedeltà verso la Chiesa e che devono impregnare tutta la sua esistenza.

Note

(1) Anni più tardi, monsignor Escrivá de Balaguer volle che vicino alle reliquie di Santa Caterina da Siena figurasse questa iscrizione:Dilexit opere et veritate Ecclesiam Dei ac Romanum Pontificem, come per riassumere in estrema sintesi la vita di donazione della Santa, e la sua personale ammirazione per lei.

(2) Forse è il momento di precisare l'opposizione che a volte si stabilisce tra una spiritualità "individualista" e "ecclesiale". Ogni spiritualità cristiana corretta è, ovviamente, ecclesiale. Tuttavia, parlare di "individualismo" -incomprensibile nella vita cristiana- facilmente si può identificare -in un evidente equivoco- con la coltivazione e lo sviluppo della vita cristiana, sotto la guida dello Spirito Santo,in ogni anima. Certamente un cristiano non è tale individualmente, però "personalmente" sì, ma questo è evidentemenmte diverso. La Chiesa forma, con parole di San Tommaso, «quasi una mystica persona». Senza tuttavia -questo è un aspetto del mistero della Chiesa- privare ciascuno dei suoi membri della propria personalità.

(3) È ben nota la caratterizzazione del nostro XX secolo come "il secolo della Chiesa". Con ciò si allude al risveglio della vita cristiana al senso di Chiesa, al sapersi parte di un tutto nel quale ciascuno è incorporato, e che rappresenta una dimensione essenziale della vita di ciascun cristiano. Comprendiamo che questo valore è presente in Cammino non tanto come affermazione esplicita e sviluppata teologicamente, ma piuttosto come qualcosa di ammesso, caldeggiato e sottostante a molti dei consigli spirituali che l'autore offre. La natura di Cammino, in ogni caso, è diversa da quella delle opere, ormai classiche, che lungo gli anni dal primo dopoguerra in poi influirono sull'elaborazione dell'ecclesiologia dogmatica. Pensiamo a un R. Guardini, K. Adam, Domm Vonier, ecc., in Germania, o un H. Clérissac in Francia. Non regge, in questo senso, un confronto adeguato tra generi differenti. Ciò nonostante, i due tipi di letteratura confluirono senza dubbio nel plenum dell'ultimo Concilio.

(4) Non avrebbe senso, a nostro giudizio, cercare di ridurre il pensiero ecclesiologico di Mons. Josemaría Escrivá de Balaguer solo a partire da Cammino. Lungo la sua abbondante produzione successiva, l'autore sviluppò una profonda percezione ecclesiologica, il cui contenuto, certamente, si trova già in Cammino, però -vale la pena di ripeterlo- dal punto di vista della realtà esistenziale cristiana. Per farsi un'idea più completa della personalità teologica di monsignor Escrivá è imprescindibile consultare "P. RODRÍGUEZ-P. G. ALVES DE SOUSA-J. M. ZUMAQUERO (dir.), Mons. Josemaría Escrivá de Balaguer y el Opus Dei. En el 50 Aniversario de su fundación, ed. EUNSA, Pamplona, 1985" e " P. RODRÍGUEZ, Vocación, Trabajo, Contemplación, ed. EUNSA, Pamplona, 1986". Per il genere proprio di Cammino sarebbe inadeguato voler trovare una teorizzazione completa sui ministeri, o sulla teologia del laicato, per fare alcuni esempi. Invece è legittimo e necessario scoprire il profondo rinnovamento che, come fenomeno pastorale, implicano le affermazioni di Cammino sulle relazioni tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune, e il modo proprio della vita laicale del cristiano e, in definitiva, sulla chiamata universale alla santità come dispiegarsi operativo del Battesimo. È in questo senso, a nostro giudizio, che Giovanni Paolo II poteva dire di monsignor Escrivá «che, fin dai primi tempi, ha anticipato questa teologia del laicato, che caratterizzò poi la Chiesa del Concilio e del Postconcilio».

(5) «Tuttavia Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità» (Concilio Vaticano II, Cost. Dogm. Lumen Gentium, n. 9)

(6) Cfr. Commonitorio, cap. II. Non deve sorprendere, pertanto, che l'autore di Cammino rispecchi nei suoi testi queste verità solennemente esposte ed insegnate dal magistero del Concilio Vaticano II. È il legame della tradizione genuina che unisce la fede cristiana lungo i secoli; lo Spirito Santo che, agendo nella Chiesa, spinge i suoi membri a vivere la perenne novità del Vangelo.

(7) L'assenza, nei Santi Padri, di un trattato teologico espresso sulla Chiesa ha richiamato ripetutamente l'attenzione dei teologi; anche tra gli Scolastici, cominciando da San Tommaso d'Aquino, si scopre questo fenomeno. Il fatto è che la Chiesa ha il valore di ciò che è ovvio: è qualcosa di vissuto prima che espresso; realizzato nella sua liturgia, nei suoi sacramenti, nella vita di comunione. Il cristiano vive immerso in essa.

(8) Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 39.

(9) Specialmente in ogni attività apostolica: «È inutile che ti affanni in tante opere esteriori se ti manca Amore. —È come cucire con un ago senza filo. Che pena se alla fine avessi fatto il “tuo” apostolato e non il “suo” Apostolato! (Cammino, n. 967).

(10) È chiaro -il contrario sarebbe falso amore- che l'amore al Papa include il rispetto e la venerazione per i suoi fratelli nell'episcopato. Così vedeva questo San Gregorio Magno: «Il mio onore è l'onore della Chiesa universale. Il mio onore è la solidità della forza dei miei fratelli. Mi si attribuisce veramente un onore quando non si lesina l'onore dovuto a ciascuno in particolare» (Epist. ad Eulogium episc. Alexandrinum VIII, 30: ML, 77, n. 933).

(11) Cfr. Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 3

(12) Mons. Escrivá de Balaguer con grande forza avrebbe affermato alcuni anni dopo: «La Chiesa è questo: Cristo presente in mezzo a noi, Dio che viene incontro all'umanità per salvarla» (È Gesù che passa, 131)

(13) Cfr. Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 8: la Chiesa «è il regno di Cristo già presente in mistero, che per la potenza di Dio cresce visibilmente nel mondo» (ibidem, n. 3).

(14) Non possiamo trattare qui -non è il luogo- deglielementa seu bona Ecclesiae presenti nelle chiese e comunità separate da Roma, e che iure pertinent all'unica Chiesa (cfr. Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 3).

(15) Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 1.

(16) È significativo che, tempo dopo, San Josemaría applicasse questo stesso termine in un contesto simile: «Questa Chiesa Cattolica è romana. Io gusto il sapore di questa parola: romana. Mi sento romano, perché romano vuol dire universale, cattolico; perché così mi sento spinto ad amare teneramente il Papa, «il dolce Cristo in terra», come piaceva ripetere a santa Caterina da Siena, che considero come un'amica carissima (Omelia "Lealtà verso la Chiesa", in "La Chiesa nostra madre", n. 28).

(17) Cfr. Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 5

(18) «L'uragano della persecuzione è buono. —Che cosa si perde?... Non si perde ciò che è già perduto. —Se non si sradica l'albero —e non c'è vento né bufera che possa sradicare l'albero della Chiesa— cadono solo i rami secchi... E quelli è bene che cadano» (Cammino, n. 685).

(19) Non si deve pensare che questo incarico fosse esclusivo degli Apostoli e dei loro successori, l'Ordine episcopale. La Chiesa intera riceve la missione, il "mandato"; per propria natura è "inviata". Certamente, ogni membro realizzerà questa missione secondo la sua posizione nella Chiesa: suo modo, pro parte sua, secondo l'espressione che utilizza il Concilio Vaticano II riferendosi a questa diversità della condizione dei cristiani, successiva alla loro radicale uguaglianza battesimale. L'autore di Cammino, in questo senso, non ha alcun dubbio nel riferire la missione a ciascun cristiano.

(20) «Ma... e i mezzi? —Sono gli stessi di Pietro e di Paolo, di Domenico e di Francesco, di Ignazio e di Saverio: il Crocifisso e il Vangelo... —Forse ti sembrano piccoli?»(Cammino, n. 470).

(21) Cfr. Cammino, n. 779.

(22) «Fossero tali il tuo contegno e la tua conversazione che tutti, nel vederti o nel sentirti parlare, potessero dire: ecco uno che legge la vita di Gesù Cristo» (Cammino, n. 2).

(23) «Tieni presente, figlio mio, che non sei soltanto un'anima che si unisce ad altre anime per fare una cosa buona. Questo è molto..., ma è poco. —Sei l'Apostolo che compie un mandato imperativo di Cristo» (Cammino, n. 942).

(24) «Non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come Madre», scriveva San Cipriano nel suo Trattato sull'unità della Chiesa Cattolica, Cap. 6. In modo simile Sant'Agostino: «amiamo il Signore nostro Dio, amiamo la sua Chiesa. Lui come un Padre, lei come una Madre…» (Enarrationes in Psalmos, 88, 2; PL 37, 1140). In un'omelia pronunciata nel 1972 su "Il fine soprannaturale della Chiesa", Mons. Escrivá de Balaguer avrebbe raccolto, insieme ad altre, queste due citazioni dei Santi Padri, parlando precisamente dell'amore filiale alla Chiesa. Un esempio ulteriore di come Cammino si riallacci profondamente alla tradizione patristica.

(25) «Con quale infame lucidità Satana argomenta contro la nostra Fede Cattolica! Ma diciamogli sempre, senza entrare in discussioni: io sono figlio della Chiesa» (Cammino, n. 576).

(26) «Se tu sei così miserabile, perché ti meravigli che gli altri abbiano le loro miserie?» (Cammino, n. 446)

(27) «Quando avrai terminato il tuo lavoro, fa' quello del tuo fratello, aiutandolo, per Cristo, con tale spontanea delicatezza che egli non avverta neppure che stai facendo più di quanto devi secondo giustizia. —Questa sì che è fine virtù di un figlio di Dio!» (Cammino, n. 440).

(28) «Non pensare mai male di nessuno, nemmeno se le parole o le opere di qualcuno te ne danno ragionevole motivo» (Cammino, n. 442).«La mormorazione è rogna che insudicia e ostacola l'apostolato. —È contraria alla carità, sottrae energie, toglie la pace e fa perdere l'unione con Dio» (Cammino, n. 445).

(29) “Frater qui adiuvatur a fratre quasi civitas firma” —Il fratello aiutato dal fratello è forte come una città murata. —Rifletti un momento e deciditi a vivere la fraternità che sempre ti raccomando» (Cammino, n. 460).

(30) «Se senti la Comunione dei Santi —se la vivi— sarai di buon grado uomo penitente. —E capirai che la penitenza è “gaudium, etsi laboriosum” —gioia, anche se faticosa: e ti sentirai “alleato” di tutte le anime penitenti che sono state, sono e saranno» (Cammino, n. 548).

(31) «Lo sforzo di ciascuno di voi, isolato, risulta inefficace. —Se vi unisce la carità di Cristo, l'efficacia vi meraviglierà»(Cammino, n. 847).

(32) «Essere “cattolico” è amare la Patria senza lasciarsi superare da nessuno in questo amore. E, allo stesso tempo, è fare proprie le nobili aspirazioni d'ogni paese. Quante glorie della Francia sono glorie mie! Egualmente, molti motivi d'orgoglio dei tedeschi, degli italiani, degli inglesi..., degli americani, degli asiatici e degli africani, sono, anch'essi, mio vanto. —Cattolico! Cuore grande, spirito aperto»(Cammino, n. 525).

(33) «È cattivo spirito il tuo se ti duole che altri lavorino per Cristo senza chiedere la tua collaborazione. —Ricordati di questo passo di San Marco: “Maestro, abbiamo visto un tale, che non viene con noi, scacciare i demoni in nome tuo, e glielo abbiamo proibito. Ma Gesù disse: Non glielo proibite; perché nessuno che fa prodigi in nome mio potrà poi dir male di me. Perché chi non è contro di noi è con noi”» (Cammino, n. 966).

(34) È ammirevole la grandezza di cuore che Dio concesse al suo Servo, in un ambito -l'azione apostolica- nel quale riappaiono così sottilmente nella Chiesa le gelosie che denunciava già l'Apostolo: «"Io sono di Paolo", "Io invece sono di Apollo", "Io invece di Cefa", "E io di Cristo". È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? (1Cor, 1, 12-13).

(35) Considerando le cose dalla nostra prospettiva attuale e, soprattutto, partendo dalla ricezione solenne di questa dottrina nel Concilio Vaticano II (cfr. Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 40, & 2), può richiamare l'attenzione il fatto che questa affermazione supponesse una novità negli anni in cui appare Cammino. In linea di principio, certamente, nessuno negava l'affermazione evangelica.. Tuttavia, le implicazioni che Mons. Escrivá de Balaguer sviluppa in Cammino, su ciò che implica una spiritualità per il cristiano comune -il laico- propria e adeguata alla sua posizione nella chiesa e nel mondo, rappresentavano effettivamente una novità nell'ambiente dell'epoca, in cui il modello di perfezione religiosa, con la professione dei consigli evangelici coram Ecclesiam era presentato come il modello principale di ogni spiritualità sia per i laici che per i chierici.

(36) «Che smania c'è nel mondo per uscire dal proprio posto! —Che succederebbe se ogni osso, ogni muscolo del corpo umano volessero occupare un posto diverso da quello che gli spetta? Non è altra la ragione del malessere del mondo. —Persevera nel tuo posto, figlio mio: da lì, quanto potrai lavorare per il regno effettivo di Nostro Signore! » (Cammino, n. 832).

(37)« Aconfessionalismo. Neutralità. —Vecchi miti che tentano sempre di ringiovanire. Ti sei dato la pena di pensare quanto è assurdo smettere di essere cattolici quando si entra nell'Università, nell'Associazione professionale, in un'Assemblea di scienziati o in Parlamento, così come si lascia il cappello alla porta?» (Cammino, n. 353).

(38) «“Ideo omnia sustineo propter electos” —tutto io soffro, per gli eletti, “ut et ipsi salutem consequantur” —affinché anch'essi ottengano la salvezza, “quae est in Christo Iesu” —che è in Cristo Gesù. —Splendido modo di vivere la Comunione dei Santi! —Chiedi al Signore di darti lo stesso spirito di San Paolo» (Cammino, n. 550).

(39) «La Chiesa canta —è stato detto— perché il parlare non sarebbe sufficiente alla sua preghiera. —Tu, cristiano —e cristiano scelto—, devi imparare a cantare liturgicamente» (Cammino, n. 523).

(40) «Mi hai visto celebrare la Santa Messa sopra un altare nudo —mensa e ara—, senza pala ornamentale. Il Crocifisso, grande. I candelieri robusti, con torce di cera digradanti: più alte vicino alla Croce. Paliotto del colore liturgico. Pianeta ampia. Severo di linee, larga la coppa e ricco, il calice. Assente la luce elettrica: non ne abbiamo notato la mancanza. —E ti costò fatica uscire dall'oratorio: si stava così bene! Vedi come conduce a Dio, come avvicina a Dio il rigore della liturgia?» (Cammino, n. 543).

(41) «La vita di pietà ha una sua correttezza. —Apprendila. —Fanno pena quelle persone “pie” che non sanno assistere alla Messa —benché la frequentino ogni giorno— né sanno fare il segno della Croce —tracciano strani geroglifici, in tutta fretta—, né sanno inginocchiarsi dinanzi al Tabernacolo —le loro ridicole genuflessioni sembrano una burla—, né sanno inclinare riverentemente la testa davanti a un'immagine della Madonna» (Cammino, n. 541).