De Marchi: "C’è chi vuole pregare e cerca il tempo e il luogo"

"Dovunque un prete si mette ad ascoltare, si crea una coda paragonabile alle macchine in doppia fila per le spese natalizie": don Carlo De Marchi in dialogo con il giornalista Domenico Agasso jr.

Il 22 dicembre 2017 l'edizione digitale de "La Stampa" ha pubblicato un'intervista a don Carlo De Marchi sulla crisi della dimensione religiosa. Vi proponiamo il testo integrale.

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È vicario della Prelatura dell’Opus Dei per l’Italia Centro Sud. Milanese, da 20 anni a Roma, don Carlo De Marchi ha un’esperienza di 10 anni di lavoro in una Ong di cooperazione allo sviluppo.

Don De Marchi, lei ha pubblicato il saggio «La formula del buonumore». Qual è la sua percezione sul crollo della dimensione religiosa? Quali sono le cause e i bisogni da cui deriva?

«Il crollo è un dato di fatto, anche se mi pare che Papa Francesco nell’"Evangelii gaudium" vada ancora più in là: la religiosità fondata sull’appartenenza di famiglia o di ceto sociale è finita. I luoghi tradizionali si svuotano? Andiamo a parlare uno per uno con chi sta fuori, da persona a persona».

Il cristianesimo non è credersi perfetto, ma incontrare Gesù Cristo che salva le persone e le relazioni

L’«eclissi del sacro» vuol dire che la gente non cerca più il trascendente? Oppure ognuno ritaglia su di sé la morale religiosa?

«Il cristianesimo non è una morale! Nei mesi scorsi ho avuto modo di fare molte catechesi sull’"Amoris laetitia", sottolineando una linea di fondo: la lotta contro il perfezionismo. Non ci si salva con i propri muscoli, bisogna accettare i difetti propri e altrui. Il cristianesimo non è credersi perfetto, ma incontrare Gesù Cristo che salva le persone e le relazioni. Se ci si limita alla morale si corre il rischio di finire per giudicare gli altri».

Quali sono i segni più evidenti di questo calo di religiosità?

«Esiste senz’altro una certa suscettibilità negli ambienti di lavoro: c’è tolleranza su tutto (grazie a Dio) ma si nota imbarazzo appena si fa un cenno alla fede. È un imbarazzo però che si scioglie quando si entra in dialogo a tu per tu. Un amico che lavora in un ministero raccontava la domanda di un dirigente: “Ma tu devi proprio tenere quel rosario sulla tua tastiera del computer?” (qualcuno avrà fatto una battutina oppure si sarà lamentato col capo). “Ma, guarda, a me aiuta, e poi io prego anche per te”. Il capo fu colto totalmente di sorpresa. “Davvero? Ma grazie!”.

Ci vuole una trasparenza cristiana: non si tratta tanto di convincere i colleghi o il mondo, ma di condividere con gli altri un’esperienza

L’imbarazzo si genera perché si parla poco, quando c’è comunicazione e condivisione, rinasce l’interesse. Ci vuole una trasparenza cristiana: non si tratta tanto di convincere i colleghi o il mondo, ma di condividere con gli altri un’esperienza. Alla trasparenza evidentemente va unita la coerenza».

I cattolici paiono più fedeli, ma è una (larga) minoranza a partecipare con costanza ai momenti comunitari. Questo che cosa significa?

«L’altro ieri sera ero a cena a casa di una famiglia. Sono catechisti in parrocchia, e coordinano un corso che segue il metodo dei 10 comandamenti di don Fabio Rosini. A queste catechesi impegnative partecipano migliaia di persone, soprattutto giovani. Ho una piccola esperienza, comune a tanti altri sacerdoti: ho condiviso sul web alcune meditazioni audio e ho notato con sorpresa che varie centinaia di persone le ascoltano. Vogliono pregare ma non trovano il tempo e il luogo.

Anche un ingorgo si può trasformare in luogo sacro

Per questo le ho chiamate “meditazioni in tangenziale”. Anche un ingorgo si può trasformare in luogo sacro. I numeri globali calano ma forse queste persone e famiglie stanno crescendo al di dentro per diventare davvero generative, come dicono Mauro Magatti e Chiara Giaccardi. Benedetto XVI parlava di creatività delle minoranze. Mi pare che il Vangelo anche oggi attragga, quando è presentato in modo autentico e personale. Il cristianesimo di facciata è andato in crisi, ma forse è meglio così…».

La secolarizzazione è irreversibile in tempi brevi?

«I processi non sono irreversibili, anzi il trend è già cambiato. Non è una percezione sociologica o statistica (non è il mio mestiere). È l’esperienza quotidiana mia e di tante persone che conosco, laici e sacerdoti. Qualche giorno fa sono stato cinque ore in confessionale. Dovunque un prete si mette ad ascoltare, si crea una coda paragonabile alle macchine in doppia fila per le spese natalizie…».

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Per ascoltare le "meditazioni in tangenziale" di don Carlo De Marchi, fare clic qui.

L'intervista integrale è stata pubblicata interamente qui.

Domenico Agasso jr

La Stampa