TEMA 31. Il Decalogo. Il primo comandamento

Gesù Cristo ci ha insegnato che per salvarsi è necessario osservare i comandamenti che contengono l’essenza della legge morale naturale. Il primo comandamento è duplice: l’amore a Dio e l’amore al prossimo per amore a Dio.

1. I Dieci comandamenti o Decalogo

Nostro Signore Gesù Cristo ci ha insegnato che per salvarsi è necessario osservare i comandamenti. Quando un giovane gli chiede: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?» ( Mt 19, 16), Gesù risponde: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» ( Mt 19, 17). Poi cita alcuni precetti che si riferiscono all’amore al prossimo: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre» ( Mt 19, 18-19). Questi precetti, insieme a quelli che si riferiscono all’amore a Dio che il Signore menziona in altre occasioni, formano i dieci comandamenti della Legge divina (cfr. Es 20, 1-17; Catechismo , 2052). «I primi tre si riferiscono principalmente all’amore di Dio e gli altri sette all’amore del prossimo» ( Catechismo , 2067).

I dieci comandamenti contengono l’essenza della legge morale naturale (cfr. Catechismo , 1955). È una legge che si trova iscritta nel cuore degli uomini ma la cui conoscenza è oscurata a causa del peccato originale e dei peccati personali. Per questo Dio ha voluto rivelare anche alcune «verità religiose e morali che, di per sé, non sono inaccessibili alla ragione» ( Catechismo , 38) perché tutti le possano conoscere in modo completo e certo (cfr. Catechismo , 37-38). Questa rivelazione è contenuta in parte nell’Antico Testamento ed è stata completata da Gesù Cristo (cfr. Catechismo , 2053-2054). La Chiesa custodisce la Rivelazione e la insegna a tutti gli uomini ( Catechismo , 2071).

Alcuni comandamenti stabiliscono ciò che si deve fare (per esempio, santificare le feste); altri indicano ciò che non è lecito fare (per esempio uccidere l’innocente). Questi ultimi indicano atti che sono intrinsecamente cattivi per il loro oggetto morale, indipendentemente da altri motivi o dalla intenzione di chi li compie o dalle circostanze che li accompagnano [1] .

«Gesù mostra che i comandamenti non devono essere intesi come un limite minimo da non oltrepassare, ma piuttosto come una strada aperta per un cammino morale e spirituale di perfezione, la cui anima è l’amore (cfr. Col 3, 14)» [2] . Per esempio, il comandamento “Non uccidere” contiene l’invito non solo a rispettare la vita del prossimo, ma a promuoverne lo sviluppo e l’arricchimento in quanto persone. Non si tratta di proibizioni che limitano la libertà ma luci che mostrano la via del bene e della felicità, liberando l’uomo dal male morale.

2. Il primo comandamento

Il primo comandamento è duplice: l’amore a Dio e l’amore al prossimo per amore a Dio. «Maestro, qual è il più grande comandamento della Legge? Gli rispose: - Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti» ( Mt 22, 36-40).

Questo amore si chiama carità. Con lo stesso termine si designa anche la virtù teologale, il cui atto è l’amore a Dio e agli altri attraverso Dio. La carità è un dono infuso dallo Spirito Santo in coloro che sono costituiti figli adottivi di Dio (cfr. Rm 5, 5). La carità deve crescere durante la vita sulla terra per azione dello Spirito Santo e con la nostra cooperazione: crescere in santità equivale a crescere in carità. La santità non è altro che la pienezza della filiazione divina e della carità. Questa può anche diminuire a causa del peccato veniale e si può perdere col peccato grave. La carità ha un ordine: prima Dio, poi gli altri (per amore a Dio), infine se stessi (per amore a Dio).

L’amore a Dio

Amare Dio come suoi figli comporta:

a) Averlo come fine ultimo di tutto ciò che facciamo. Agire in tutto per amore a Lui e per la sua gloria: «Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» ( 1 Cor 10, 31). «“ Deo omnis gloria ”. – A Dio tutta la gloria» [3] . Non deve esserci un fine superiore a questo. Nessun amore vero può essere posto al di sopra dell’amore a Dio: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me» ( Mt 10, 37). «Non c’è altro amore che l’Amore!» [4] : non può esistere un vero amore che escluda o posponga l’amore a Dio.

b) Compiere la Volontà di Dio con le opere: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» ( Mt 7, 21). La Volontà di Dio è che siamo santi (cfr. 1 Ts 4, 3), che seguiamo Cristo (cfr. Mt 17, 5) osservando i suoi comandamenti (cfr. Gv 14, 21). «Vuoi davvero essere santo? – Compi il piccolo dovere di ogni momento: fa’ quello che devi e sta’ in quello che fai» [5] . Compierlo anche quando richiede sacrificio: «non sia fatta la mia, ma la tua volontà» ( Lc 22, 42).

c) Corrispondere al suo amore per noi. Egli ci ha amato per primo, ci ha creati liberi e ci ha fatti suoi figli (cfr. 1 Gv 4, 19). Il peccato sta nel rifiutare l’amore di Dio (cfr. Catechismo , 2094), però Lui è disposto a perdonarci sempre, a donarsi a noi sempre. «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» ( 1 Gv 4, 10; cfr. Gv 3, 16). «Mi ha amato e ha dato se stesso per me» ( Gal 2, 20). «Per corrispondere a tanto amore ci si richiede una totale donazione, del corpo e dell’anima» [6] . Non è un sentimento, ma una determinazione della volontà che può essere o no accompagnata da affetti.

L’amore a Dio induce a cercare un rapporto personale con Lui. Questo rapporto è la preghiera, che a sua volta alimenta l’amore, ed ha diversi contenuti [7] :

a) «L’ adorazione è la disposizione fondamentale dell’uomo che si riconosce creatura davanti al suo Creatore» ( Catechismo , 2628). È l’atteggiamento di fondo della religione (cfr. Catechismo , 2095). «Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto» ( Mt 4, 10). L’adorazione a Dio libera dalle diverse forme di idolatria, che portano alla schiavitù. «La tua orazione sia sempre un sincero e reale atto di adorazione di Dio» [8] .

b) Il ringraziamento (cfr. Catechismo , 2638), in quanto riconosciamo che tutto ciò che siamo e abbiamo lo abbiamo ricevuto da Lui per dargli gloria: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto?» ( 1 Cor 4, 7).

c) La petizione , che a sua volta ha due modalità: la richiesta di perdono per quello che ci separa da Dio (il peccato) e la richiesta di aiuto, per se stessi, per gli altri, per la Chiesa e per l’umanità intera. Questi due tipi di richieste sono contenute nel Padrenostro: “…dacci oggi il nostro pane quotidiano, perdona le nostre colpe…”. La petizione del cristiano è fatta con piena sicurezza «poiché nella speranza noi siamo stati salvati» ( Rm 8, 24) e perché è una preghiera filiale fatta per mezzo di Cristo: «se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà» ( Gv 16,23; cfr. 1 Gv 5, 14-15).

L’amore si manifesta anche con il sacrificio che non si può separare dall’orazione: «l’orazione si avvalora col sacrificio» [9] . Il sacrificio è l’offerta a Dio di un bene sensibile, in segno di omaggio, come espressione della donazione interiore della propria volontà, vale a dire, dell’obbedienza a Dio. Cristo ci ha redenti col Sacrificio della Croce, che manifesta la sua perfetta obbedienza fino alla morte (cfr. Fil 2, 8). Noi cristiani, come membra di Cristo, possiamo corredimere con Lui, unendo al suo i nostri sacrifici nella Santa Messa (cfr. Catechismo , 2100).

L’orazione e il sacrificio costituiscono il culto a Dio. Questo si chiama culto di latrìa o adorazione per distinguerlo dal culto agli Angeli e ai Santi che è di dulìa o venerazione e dal culto col quale si onora la Santissima Vergine, chiamato di iperdulìa (cfr. Catechismo , 971). L’atto di culto per eccellenza è la Santa Messa, immagine della liturgia celeste. L’amore a Dio si deve manifestare anche nella dignità del culto: osservanza delle prescrizioni della Chiesa, avere «correttezza nella vita di pietà» [10] , curare la dignità e la pulizia degli oggetti sacri. «Quella donna che in casa di Simone il lebbroso, a Betania, unge il capo del Maestro con un ricco profumo, ci ricorda il dovere di essere splendidi nel culto di Dio. – Tutto il lusso, la maestà e la bellezza mi sembrano ben poco» [11] .

3. La fede e la speranza in Dio

Fede, speranza e carità sono le tre virtù “teologali” (che s’indirizzano a Dio). Di esse la più grande è la carità (cfr. 1 Cor 13, 13), che dà “forma” e “vita” soprannaturale alla fede e alla speranza (in modo simile a come l’anima dà vita al corpo). Però su questa terra la carità presuppone la fede, perché può amare Dio solo chi lo conosce; e presuppone anche la speranza, perché può amare Dio solo chi ripone il proprio desiderio di felicità nell’unione con Lui.

La fede è un dono di Dio, una luce nell’intelligenza che ci permette di conoscere la verità che Dio ha rivelato e assentire ad essa. Implica due cose: credere quello che Dio ha rivelato (il mistero della Santissima Trinità e tutti gli articoli del “Credo”) e credere a Dio stesso che lo ha rivelato (confidare in Lui). Non c’è, né può esserci, contrapposizione tra fede e ragione.

La formazione dottrinale è importante per arrivare a possedere una fede sicura e per alimentare l’amore a Dio e agli altri per Dio: per la santità e per l’apostolato. La vita di fede è una vita impostata sulla fede e coerente con essa nelle opere.

Anche la speranza è un dono di Dio che porta a desiderare l’unione con Lui in cui trovare la nostra felicità, e ci fa confidare che Egli ci darà la capacità e i mezzi per raggiungerla ( Catechismo , 2090).

Noi cristiani dobbiamo essere «lieti nella speranza» ( Rm 12, 12), perché se siamo fedeli ci aspetta la felicità del Cielo con la visione di Dio faccia a faccia (cfr. 1 Cor 13, 12), la visione beatifica . «Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo; se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» ( Rm 8, 17). La vita cristiana su questa terra è un cammino di felicità perché già adesso abbiamo un anticipo dell’unione con la Santissima Trinità, mediante la grazia, ma è una felicità accompagnata dal dolore e dalla croce. La speranza ci fa capire che vale la pena! «Vale la pena di giocarsi tutta intera la vita! Di lavorare e soffrire, per Amore, per portare avanti i progetti di Dio, per corredimere» [12] .

I peccati contro il primo comandamento sono peccati contro le virtù teologali:

a) Contro la fede: l’ateismo, l’agnosticismo, l’indifferentismo religioso, l’eresia, l’apostasia, lo scisma, ecc. (cfr. Catechismo , 2089). È contrario al primo comandamento anche mettere volontariamente in pericolo la propria fede omettendo i mezzi per custodirla come pure leggendo libri contrari alla fede o alla morale senza averne un motivo proporzionato e la preparazione sufficiente.

b) Contro la speranza: la disperazione della propria salvezza (cfr. Catechismo , 2091) o, all’opposto, la presunzione che la misericordia divina perdonerà i peccati senza conversione né contrizione o senza il ricorso al sacramento della Penitenza (cfr. Catechismo , 2092). È contrario a questa virtù anche il porre la speranza della felicità ultima in qualcosa che è al di fuori di Dio.

c) Contro la carità: qualunque peccato è contrario alla carità. Però si oppongono direttamente ad essa il rifiuto di Dio e la tiepidezza, cioè non volerlo amare con tutto il cuore. Contrario al culto a Dio è il sacrilegio, la simonia, certe pratiche di superstizione, la magia, ecc., e il satanismo (cfr. Catechismo , 2111-2128).

4. Amore agli altri per amore a Dio

L’amore a Dio deve comprendere l’amore a coloro che Dio ama. «Se uno dicesse: “io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello» ( 1 Gv 4, 20-21). Non si può amare Dio senza amare tutti gli uomini, che sono stati creati da Lui a sua immagine e somiglianza e chiamati a essere suoi figli mediante la grazia soprannaturale (cfr. Catechismo , 2069).

«Con i figli di Dio dobbiamo comportarci come figli di Dio» [13] :

a) comportarsi come figli di Dio, come un altro Cristo. L’amore agli altri ha come regola l’amore di Cristo: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli» ( Gv 13, 34-35). Lo Spirito Santo è stato inviato nei nostri cuori perché possiamo amare Dio come figli, con l’amore di Cristo (cfr. Rm 5, 5). «Dare la vita per gli altri. Soltanto così si vive la vita di Gesù Cristo e diventiamo una sola cosa con Lui» [14] .

b) vedere Cristo negli altri figli di Dio: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avrete fatto a me» ( Mt 25, 40). Volere essi il loro vero bene, ciò che Dio vuole: che siano santi e, dunque, felici. La prima manifestazione di carità è l’apostolato. La carità porta anche a preoccuparsi delle necessità materiali degli altri, a capire – fare proprie – le loro difficoltà spirituali e materiali, a saper perdonare, ad avere misericordia (cfr. Mt 5, 7). «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, […] non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male…» ( 1 Cor 13, 4-5). Altra manifestazione della carità è fare la correzione fraterna (cfr. Mt 18, 15).

5. L’amore a se stessi per amore a Dio

Il precetto della carità include anche l’amore a se stessi: « Amerai il prossimo tuo come te stesso » ( Mt 22, 39). C’è un retto amore a se stessi: l’amore di sé per amore a Dio che porta a volere per sé ciò che Dio vuole: la santità e, dunque, la felicità (accompagnata su questa terra dal sacrificio, dalla croce). C’è anche un amore disordinato a se stessi, l’egoismo, che è un amore di se stessi per se stessi, non per amore a Dio. Vuol dire porre la propria volontà al di sopra di quella di Dio e il proprio interesse al di sopra di quello degli altri.

Il retto amore a se stessi non si può avere senza lotta all’egoismo. Richiede abnegazione, dono di sé a Dio e agli altri. «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» ( Mt 16, 24-25). L’uomo non può «ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé» [15] agli altri.

Javier López

Bibliografia di base Catechismo della Chiesa Cattolica , 2064-2132.

Letture raccomandate

Benedetto XVI, Enc. Deus caritas est , 25-XII-2005, 1-18.

Benedetto XVI, Enc. Spe salvi , 30-XI-2007.

San Josemaría, Omelie Vita di fede , La speranza del cristiano , Con la forza dell’amore , in Amici di Dio , 190-237.

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[1] Cfr. Giovanni Paolo II, Enc. Veritatis splendor , 6-VIII-1993, 80.

[2] Ibidem , 15.

[3] San Josemaría, Cammino , 780.

[4] Ibidem , 417.

[5] Ibidem , 815. Cfr. Ibidem , 933.

[6] San Josemaría, È Gesù che passa , 87.

[7] Cfr. San Josemaría, Cammino , 91.

[8] San Josemaría, Forgia , 263.

[9] San Josemaría, Cammino , 81.

[10] Ibidem , 541.

[11] Ibidem , 527. Cfr. Mt 26, 6-13.

[12] San Josemaría, Forgia , 26.

[13] San Josemaría, È Gesù che passa , 36.

[14] San Josemaría, Via Crucis, XIV Stazione . Cfr. Benedetto XVI, Enc. Deus Caritas est , 25-XII 2005, 12-15.

[15] Concilio Vaticano II, Cost. Gaudium et spes , 24.