La prolusione del Card. Bagnasco

Sintesi della prolusione del Card. Angelo Bagnasco all'apertura dei lavori del Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, svoltosi a Roma dal 28 al 30 gennaio.

Il Card. Angelo Bagnasco, nell'introdurre i lavori del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana, ha invitato - in piena sintonia con gli insegnamenti del Santo Padre Benedetto XVI, - a confidare in Dio " dentro a un travaglio storico delicatissimo e intricato" entrando nella "porta della fede". Ha raccolto lo sguardo sui tanti fronti che impegnano la nostra fede in questo frangente storico, a partire dalle situazioni di persecuzioni in cui si trovano i cristiani in varie parti del mondo. "Quanti soffrono e muoiono per Cristo - ha detto - lo fanno anche per noi, e noi li sentiamo nostri fratelli nonostante qualsiasi distanza. Nell’economia misteriosa attraverso cui si intesse concretamente il regno di Dio sulla terra, è la comunione con queste situazioni di martirio che dà verità e vigore al nostro lavoro pastorale, impegnato oggi nella rievangelizzazione delle terre che hanno da tempo conosciuto il Vangelo".

Ha portato poi la sua attenzione sulle situazioni critiche del nostro paese in particolare, sulla "condizione di indigenza che si va obiettivamente allargando e sta intaccando segmenti di società in cui prima era sostanzialmente marginale", mettendo a fuoco la condizione in cui versa il lavoro nelle attuali difficoltà economiche che pesano sulla società italiana, per ricordarne il valore centrale nella natura dell'uomo: "il lavoro è definitorio dell’umano: esso, infatti, è la nobile partecipazione dell’uomo all’opera del Creatore, consente il dignitoso sostentamento, contribuisce alla costruzione della società, esprime le potenzialità di ciascuno nell’armonia generale, genera futuro per tutti". In base a questo esso rimane un bene «prioritario, anche nei periodi di recessione economica» (Benedetto XVI, Discorso a Iustitia et Pax, 3 dicembre 2012).

Ha ricordato in tal senso che "Gesù ha investito almeno due decenni della sua vita nel laboratorio di Giuseppe, ha conosciuto la fatica del lavoro, l’ha praticata senza sconti o fughe. Anche in quel lungo tratto della sua esistenza, Egli ubbidiva al Padre e aveva un programma da indicare a noi".

E pur - anzi, a partire - da un orizzonte spesso critico del vivere umano, dove la già evocata «questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica» (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 75), egli invoca un " profilo più missionario" delle comunità cristiane, contando sul fatto che " non è il nostro fare più o meno esasperato che compie il miracolo della fede, bensì il consentire attraverso di noi il fare del Signore, il non ostacolarlo e anzi favorire la sua attrattività”. Pertanto è  “Lui [che] dobbiamo collocare sempre più al cuore della nostra attività e delle nostre relazioni" Infatti, "non abbiamo un prodotto da imporre – come ci avvertiva il Messaggio finale del Sinodo – ma una Persona, una presenza, un’amicizia che cambia la vita. In questo senso è la testimonianza e sono i testimoni coloro che concretamente fanno la nuova evangelizzazione". Riprendendo le parole che Benedetto XVI ci rivolgeva in occasione del recente Sinodo per la Nuova Evangelizzazione: «La fede deve divenire in noi fiamma dell’amore […] la verità diventi in me carità e la carità accenda come fuoco anche l’altro. Solo in questo accendere l’altro attraverso la nostra carità, cresce realmente l’evangelizzazione, la presenza del Vangelo, che non è più solo parola, ma realtà vissuta» ( Meditazione alla 1 a Congregazione generale del Sinodo , 8 ottobre 2012).

Parte non di poco valore della responsabilità del cristiano nella evangelizzazione della società è quella di«non (…)  restare ai margini nella lotta per la giustizia» (Benedetto XVI, Deus caritas est ,   n. 28 . In tal senso egli ha ricordato il "il diritto/dovere - è dovere irrevocabile specie se si pretende di inserire questa prossima scelta in un quadro più maturo che coinvolga nei debiti modi l’intera vita civile - di ogni cittadino alla convinta partecipazione alla vita civile e politica del Paese. Per questo merita superare allergie e insoddisfazioni, anche profonde: la diserzione dalle urne è un segnale di cortissimo respiro. Non bisogna cedere alla delusione, tanto meno alla ritorsione: non sarebbe saggio e, soprattutto, sarebbe dannoso per la democrazia " .

Nell'attuale congiuntura sono chiamati in causa anche nel nostro paese problemi "nodali nelle società post-moderne (…). Non ha senso nascondere gli argomenti, riconoscendo invece cittadinanza elettorale solo all’economia, in quanto fenomeno che obiettivamente brucia (…). Linee di compromesso, o peggio di baratto tra economia ed etica della vita, a scapito della seconda, sarebbero gravi. Senza il primato antropologico non solo la finanza e l’economia sarebbero oppressive perché ridurrebbero la persona in termini di costi e ricavi, ma anche lo stato sociale nascerebbe su basi anguste e riduttive". E aggiunge: "la società deve avere alla base un progetto di bene comune, altrimenti cadrà fatalmente in balia di pressioni o interessi contrastanti, dove sarà ascoltato ed esaudito chi fa la voce più forte e insistente. Ora, alla radice del bene comune troviamo le realtà primarie della vita, della famiglia e della libertà, che si intrecciano e si richiamano universalmente perché sono valori fondativi e quindi irrinunciabili dell’umano (…). È necessario che in un momento elettorale si certifichi dove essi trovano dimora. Si tratta della vita, come ho detto, dal suo concepimento alla morte naturale, dunque la rinuncia all’eutanasia comunque si presenti, la libertà di coscienza e di educazione, la famiglia basata sul vincolo del matrimonio tra l’uomo e la donna, la giustizia uguale per tutti, la pace (…). Principi basilari, dunque non negoziabili, (…) ai quali tutti gli uomini di buona volontà debbono attenersi. Chiunque si rifà al bene comune immediato non può non considerarli per ciò che sono, ossia valori non derogabili sul piano della civiltà politica, pena un arretramento antropologico e sociale".

E' necessario guardarsi - aggiunge il Card. Bagnasco - dalla corrosione operata nell'umano dal nichilismo e dall'individualismo "figlio della cultura nichilista per cui tutto è moralmente equivalente" e "tarlo più o meno mascherato che sta modificando dal di dentro gli assetti dell’orientamento comune e delle prassi sociali ".

"Si sente ripetere che questi sono valori “divisivi” mentre quelli sociali sarebbero “unitivi”: in realtà, i valori sociali dei quali abbiamo parlato sopra e che la Chiesa conosce e pratica fin dal suo nascere (cfr At 2) stanno in piedi se a monte c’è il rispetto della dignità inviolabile della persona”.

"C’è in giro una notevole confusione, perché si pensa che la realtà sia superata, che nessuna verità esista, ma se ciò è vero – avverte Spaemann – allora tutto diventa questione di potere. Ed è ciò che sta sotto i nostri occhi, ma è anche ciò che la Chiesa, «esperta in umanità» (Paolo VI, Discorso all’Assemblea dell’Onu , 4 ottobre 1965), non potrà mai accettare: «La verità per noi è più importante della derisione del mondo» (Benedetto XVI, Omelia all’Epifania, 6 gennaio 2013)".

Introdotti da queste considerazioni del Card. Bagnasco, i Vescovi che compongono il Consiglio Permanente della CEI si sono soffermati, tra l'altro, sulla catechesi, via di riscoperta dell’identità cristiana e della sequela personale del Signore nella comunità cristiana, hanno riflettuto sulla preparazione dei seminaristi e sulla formazione permanente dei sacerdoti, ecc. Hanno additato il valore insostituibile della famiglia - nella quale "si ritrova un impagabile capitale di stima e di fiducia, che precede lo stesso capitale economico"- come via per uscire dalla crisi.

Infine i Vescovi si sono confrontati sul tema principale da sviluppare nell’Assemblea Generale del prossimo maggio: l’approfondimento sugli educatori nella comunità cristiana.

Nel corso dei lavori, il Consiglio Permanente ha proceduto alla nomina del Card. Bagnasco a Presidente del Comitato per il progetto culturale.