Esempi di fede (VIII): Marta e Maria

La fede consiste nell’aprire le porte a Cristo, ospitarlo in casa propria, condividere la tavola con Lui, permettergli di entrare fin nel più intimo dell’anima. Così fece la famiglia di Betania composta da Marta, Maria e Lazzaro, dei quali si parla in questo articolo.

I vangeli rendono conto degli spostamenti di nostro Signore per le strade della Palestina. In questi percorsi furono molte le persone che s’incontrarono con Lui. Alcuni, purtroppo, non seppero riconoscere il Figlio di Dio in questa figura misericordiosa, amabile e straordinaria che veniva loro incontro. Altri, invece, credettero in Lui e seppero accoglierlo. Così fecero le folle della Galilea che avevano visto i segni compiuti da Gesù[1], e molti altri i cui nomi non sono ricordati nei vangeli. Fra quelli che dissero di sì a Cristo troviamo, per esempio, i Dodici, poi Zaccheo, e il centurione… In altri capitoli ci siamo soffermati a considerare l’esempio di fede che hanno dato alcune di queste persone. Ora fisseremo lo sguardo su Marta e Maria, che ebbero la meravigliosa fortuna di ospitare nostro Signore.

Il modo come Marta ricevette il Signore “nella sua casa”[2] è l’espressione e il risultato della sua fede in Lui. Marta credette in Gesù. Non soltanto gli aprì le porte della sua abitazione, ma anche quelle del suo cuore. Come quello di Marta, il Signore chiama anche i cuori degli uomini e delle donne di tutti i tempi, chiedendo loro il permesso di entrare. La Parola Eterna del Padre fatta Uomo, va incontro agli uomini, suoi fratelli, cercando accoglienza. Da parte nostra, basta riceverlo con fede, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La fede è la risposta dell’uomo a Dio che gli si rivela e gli si dona»[3]. La fede consiste nell’aprire le porte a Cristo, nell’ospitarlo in casa propria, nel condividere la tavola con Lui, e permettergli di entrare fin nel più intimo dell’anima. Così fece la famiglia di Betania, composta da Marta, Maria e Lazzaro. Se vogliamo imitarli, anche noi possiamo partecipare all’intimità divina, perché «la fede ci fa gustare come in anticipo la gioia e la luce della visione beatifica, fine del nostro pellegrinare quaggiù», in quanto è «l’inizio della vita eterna»[4].

Fede con opere

La fede presuppone una fiducia e un abbandono in Dio che costituiscono l’inizio della giustificazione. Inoltre, questa virtù comporta l’assenso a un insieme di verità che vengono proposte per essere credute. Nello stesso tempo, la fede, se è vera, “opera per mezzo della carità”[5], manifestandosi in dettagli concreti di amore, perché l’incontro con Cristo «dà alla vita un nuovo orizzonte, e con ciò la direzione decisiva»[6] alla vita quotidiana. La fede «non ci separa dalla realtà, ma ci permette di cogliere il suo significato più profondo, di scoprire quanto Dio ama questo mondo e lo orienta incessantemente verso di Sé; e questo porta il cristiano a impegnarsi, a vivere in modo ancora più intenso il cammino sulla terra»[7]. Marta accoglie il Signore e manifesta la sua fede e la sua fiducia in Lui occupandosi “dei molti servizi”[8]. Non soltanto crede in Gesù, ma lo lascia entrare nella sua vita, riconoscendone la dignità con opere e cercando con fatti concreti di festeggiare il Divino Ospite.

Il comportamento di Marta dimostra che la risposta a Dio non si limita soltanto al piano intellettuale, né soltanto a quello affettivo, ma lo si riconosce anche dai fatti. Una volta che la persona accoglie Dio che si rivela, la fede coinvolge il suo essere e il suo agire nel loro insieme. Per questo le opere – compiute anche per amore – sono necessarie alla salvezza. Giacomo, vista la possibilità che qualcuno possa dire di avere la fede e non le opere, dice: “mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”[9]. Le opere cooperano alla crescita e all’aumento della giustificazione[10]. Come insegna il Catechismo, «il dono della fede rimane in colui che non ha peccato contro di essa. Ma “la fede senza le opere è morta” (Gc 2, 26): se non si accompagna alla speranza e all’amore, la fede non unisce pienamente il fedele a Cristo e non ne fa un membro vivo del suo Corpo»[11].

Come Cristo ha manifestato il suo amore al Padre con le opere, noi cristiani, come buoni figli, dobbiamo realizzare e maturare la nostra condizione filiale con il nostro compimento amoroso della volontà di Dio. Non basta affermare che crediamo in Dio e ci abbandoniamo alla sua volontà, se non lo ratifichiamo con i fatti: se non rifiniamo bene il nostro lavoro per amore di Lui, se non sappiamo soffrire per Lui, se non abbiamo manifestazioni di delicatezza con gli altri, se non accettiamo le malattie e le avversità, se ci lamentiamo di ciò che non ci fa piacere… Sant’Agostino, facendo propria questa dottrina, scrive: «Tutte le tue opere si devono basare sulla fede, perché “il giusto vive di fede e la fede opera attraverso l’amore”»[12]. Le opere buone, le azioni compiute con speranza e con amore, saranno quelle che ci accompagneranno quando dovremo presentarci davanti all’Altissimo. È questo che insegna san Josemaría quando parla di una fede operativa[13], una fede che opera attraverso l’amore e si manifesta nella vita quotidiana delle figlie e dei figli di Dio.

Marta, anche quando inizialmente si lamenta con il Signore per l’apparente inattività della sorella, è un esempio di fiducia e di fede in Gesù. San Josemaría invitava a seguire il suo esempio e a “esporgli con sincerità le vostre inquietudini, anche le più minute”[14]. Anche per noi, il vero segno che crediamo e amiamo Dio, saranno le opere di amore: l’affetto che mettiamo nel vivere una determinata pratica di pietà o una devozione cristiana, i dettagli di carità verso le persone che ci stanno attorno, l’accuratezza del lavoro, l’interesse a comprendere e aiutare le persone che abbiamo vicino, e un’infinità di azioni che riempiono la nostra giornata. Tutte queste attività devono rispecchiare la nostra fede, perché sono state iniziate e saranno finite mediante l’amore di Dio e del prossimo. I fatti concreti compiuti per amore confermano l’autenticità di quel che crediamo e che la fede opera in noi attraverso la carità.

La fede che adora

Indubbiamente, le opere non debbono soffocare la fede; è questo il rischio dell’attivismo, del fare per fare, del lasciarsi trascinare in un vortice di attività. Gesù rimproverò Marta di avere dimenticata la cosa più importante: “Tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno”[15]. È un insegnamento che il Signore ricorda anche quando mette in guardia dal pericolo di concentrarsi nelle necessità materiali più immediate: “di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo, ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il Regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta”[16]. Il pericolo di “affannarsi in molte cose”, del fare, dell’attivismo, è sempre in agguato.

Proprio per questo, l’attività che svolgiamo, e che vogliamo sia intessuta di opere d’amore a Dio, deve essere accompagnata dall’ascolto attento e contemplativo della Parola divina. Questo dimostra Maria, “la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola”[17]. È facile immaginare la scena: Maria che guarda Gesù senza battere ciglio, impregnandosi delle sue parole. Per questo la Tradizione della Chiesa ha visto in essa un’immagine della vita contemplativa. San Josemaría incoraggiava a stare con Gesù nell’orazione come faceva Maria, raccogliendosi come lei, “che pende dalle parole di Gesù”[18].

Se la fede senza opere è morta, la fede che non si alimenta dell’adorazione languisce. La nostra giornata, dalla mattina alla sera, è zeppa di molte occupazioni: di un lavoro assorbente ed esigente, delle attenzioni verso la famiglia, dei rapporti con i nostri amici. Ma se vogliamo che tutte queste attività siano un incontro con il Signore, abbiamo bisogno ogni giorno di alcuni momenti per “sederci” alla presenza di Dio, per inginocchiarci davanti al Signore e adorarlo; vogliamo che in quei momenti non vi sia nulla che possa distrarci dalla contemplazione, dal guardare e ascoltare attentamente il Signore. «Prima di ogni attività e di ogni mutamento del mondo, deve esserci l'adorazione. Solo essa ci rende veramente liberi; essa soltanto ci dà i criteri per il nostro agire. Proprio in un mondo in cui progressivamente vengono meno i criteri di orientamento ed esiste la minaccia che ognuno faccia di se stesso il proprio criterio, è fondamentale sottolineare l'adorazione»[19].

La fede, dunque, invita all’adorazione, porta ad anticipare ciò che sarà la nostra vita con Dio per sempre nei cieli, a voler compiere qui sulla terra ciò che gli angeli fanno nel Cielo dando gloria a Dio. La fede che adora ci induce a prostrarci davanti a Dio e a desiderare di unirci a Lui. Per questo, la fede, che è fiducia e adesione a Dio, trova il momento culminante nell’adorazione eucaristica. Questo è stato anche l’insegnamento di san Josemaría: “Dio Nostro Signore ha bisogno che gli ripetiate, quando lo ricevete ogni mattina: Signore, credo che sei Tu, credo che sei realmente nascosto nelle specie sacramentali! Ti adoro, ti amo! E quando gli fate una visita nell’oratorio, ripeteteglielo nuovamente. Signore, credo che sei realmente presente! Ti adoro, ti amo! Questo vuol dire avere affetto verso il Signore. Così lo ameremo ogni giorno di più. Poi continuate ad amarlo durante la giornata, pensando e vivendo questa considerazione: voglio rifinire bene le cose per amore a Gesù Cristo che ci presiede dal tabernacolo”[20]. Ora si capisce perché il fondatore dell’Opus Dei si riferiva al tabernacolo come a Betania e invitava coloro che lo ascoltavano a mettersi in Lui[21]. Grazie alla fede nel Signore sacramentato possiamo “introdurci” nel tabernacolo e pregustare la visione di Dio; questo atteggiamento di adorazione ci permette poi di essere dipendenti da Lui fino a ottenere una unione di amore che si manifesti in tutte le attività della giornata.

***

Un giorno, quando annunciarono a Gesù che sua Madre e i suoi parenti volevano vederlo, Egli diede questa risposta: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”[22]. La scena di Betania convalida questo insegnamento. Ascoltarlo come Maria e mettere in pratica quello che dice, come Marta, incarna la fede di coloro che fanno parte della famiglia di Dio. Mediante l’ascolto della Parola e l’impegno nel metterla in pratica saremo membra vive della Chiesa e, con la grazia di Dio, arriveremo alla meta: «Per vivere, crescere e perseverare nella fede sino alla fine, dobbiamo nutrirla con la Parola di Dio; dobbiamo chiedere al Signore di accrescerla (cfr. Mc 9, 24; Lc 17, 5; 22, 32); essa deve operare “per mezzo della carità” (Gal 5, 6; cfr. Gc 2, 14-26), essere sostenuta dalla speranza (cfr. Rm 15, 13) ed essere radicata nella fede della Chiesa»[23]. Se qualche volta questo ci può sembrare difficile o non sappiamo bene cosa fare, troveremo l’esempio e l’aiuto in Santa Maria, nostra Madre. È stata Lei che con maggiore attenzione ha ascoltato la Parola di Dio e che, con il suo fiat, l’ha messa in pratica con maggiore fedeltà. In Lei, in ogni momento, la fede ha operato attraverso l’amore.

Juan Chapa


[1] Cfr. Lc 8, 40.

[2] Lc 10, 38.

[3] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 26.

[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 163.

[5] Gal 5, 6.

[6] Benedetto XVI, Enc. Deus Caritas est, 25-XII-2005, n. 1.

[7] Papa Francesco, Enc. Lumen fidei, 29-VI-2013, n. 18.

[8] Lc 10, 40.

[9] Gc 2, 17-18.

[10] Cfr. Concilio di Trento, Decreto sulla giustificazione, cap. 10.

[11] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1815, con riferimento al Concilio di Trento.

[12] Sant’Agostino, Enarrationes in Psalmos, 32, 2, 9.

[13] Cfr. San Josemaría, Cammino, n. 317; Solco, n. 111; Forgia, n. 155; Amici di Dio, n. 198; ecc.

[14] San Josemaría, Amici di Dio, n. 222.

[15] Lc 10, 41-42.

[16] Lc 12, 30-31.

[17] Lc 10, 39.

[18] San Josemaría, Amici di Dio, n. 222.

[19] Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana, 22-XII-2005.

[20] San Josemaría, Appunti di un incontro di famiglia, 4-IV-1970, in J. Echevarría, Lettera pastorale, 6-X-2004.

[21] Cfr. Cammino, nn. 269 e 322.

[22] Lc 8, 21.

[23] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 162.