Vivere di fede

Innalzare Cristo al vertice di tutte le attività umane non è cosa facile. Ma neppure lo era dare da mangiare a 5.000 persone con cinque pani e due pesci. Ma gli Apostoli, quando hanno chiesto aiuto a Cristo, ci sono riusciti. Ecco un testo sulla vita di fede.

Foto: Mc Garry.

La notizia della morte di Giovanni Battista aveva molto amareggiato il Signore. Era venuto a liberarci dal peccato e dai guasti con cui esso segna profondamente la natura umana, che Egli volle assumere; ma proprio perché lo aveva fatto fino alle ultime conseguenze –eccetto il peccato –, questa nuova prova della malvagità del cuore umano e, in questo caso, anche della frivola stupidità, non lo lasciò indifferente. Si sentì profondamente coinvolto e provò il desiderio di ritirarsi in un luogo tranquillo per poter pregare e meditare in pace (1).

Tuttavia, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro (2). Passò il resto della giornata a prendersi cura di costoro, delle loro anime e dei loro corpi: insegnò loro molte cose e guarì i malati. Il Signore non aveva provocato questa situazione, la sua intenzione era un’altra: voleva semplicemente meditare e riposare, e far meditare e riposare gli Apostoli. Ma il suo cuore sacerdotale non si lasciò sfuggire una inattesa opportunità di interessarsi degli altri, anche se lo costringeva a superare uno stato d’animo molto comprensibile.

Come in altre occasioni, gli evangelisti non ci dicono nulla del contenuto di quella predicazione. Si limitano a farci conoscere, oltre al suo esempio di generosità, gli avvenimenti conclusivi di quella giornata, che racchiudono insegnamenti di rilievo per chi desidera avere vita interiore e trasmettere ad altri il fuoco del Signore.

Magnanimità

Trascorsero alcune ore. La gente restava lì e il Maestro continuava a insegnare. I discepoli cominciarono a preoccuparsi pensando a quello che sarebbe successo quando la folla si fosse accorta di non avere il tempo di andare a cercarsi qualcosa da mangiare. Si rivolsero a Gesù: Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vadano nei villaggi a comprarsi da mangiare (3). Queste persone hanno una necessità e bisogna dar loro l’opportunità di soddisfarla prima che sia tardi. Il Signore rispose in un modo sorprendente: Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare (4). Il loro problema è un problema anche vostro: affrontatelo voi.

Probabilmente gli Apostoli non erano ricorsi a Gesù per fuggire la propria responsabilità, non stavano cercando di liberarsi da una difficoltà. Era, semplicemente, un compito che li superava a tal punto che non era neppure passato loro per la mente che li riguardasse. Naturalmente, provavano compassione per quella gente, ma che cosa mai potevano fare? La risposta del Signore dovette sconcertarli: noi? Siamo noi che dobbiamo dar loro da mangiare? Ma anche con l'equivalente di una paga giornaliera di duecento giorni di lavoro ci darebbero una quantità di pane irrisoria per una tale folla! (5). Che cosa mai possiamo fare noi?

Ma il maestro non volle cedere; che risolvessero loro il problema: qualcosa potete fare… Quanti pani avete? Andate a vedere (6). Gli Apostoli riconobbero di non avere risorse sufficienti: abbiamo solo cinque pani e due pesci (7). Portatemeli qua (8). Durante gli anni di lavoro apostolico che sarebbero seguiti, forse molte volte essi avranno pensato a ciò che Gesù aveva insegnato loro quel giorno lontano: anche se abbiamo solo questi mezzi, dobbiamo affrontare il problema; non bastano i buoni desideri, né la compassione di fronte ai bisogni della folla.

A un cristiano non basta comprovare che un punto di lotta o un obiettivo apostolico superano le sue capacità. Noi cristiani dobbiamo avere il cuore grande e la testa sgombra: calcolare con serenità quanti pani abbiamo, che cosa possiamo fare, senza fermarci a ciò che non possiamo fare; anche se può sembrare del tutto insufficiente, dobbiamo mettere ai piedi del Signore ciò che sta nelle nostre possibilità.

Gli evangelisti ci dicono che Gesù prese quegli alimenti, li benedisse, divise i pani e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Ce ne fu per tutti e avanzò tanto pane che ebbero bisogno di dieci canestri per raccogliere i resti: avanzò più di quello che avevano all’inizio; l’intervento divino ha fatto sì che i mezzi di cui disponevano personalmente aumentassero nello sforzo generoso per aiutare gli altri.

San Giovanni racconta questa scena come introduzione al lungo discorso del Signore sul Pane di vita. La relazione tra i due passi è chiara: la moltiplicazione dei pani è figura del grande mistero dell’Eucaristia (9), nel quale il Signore ci offre un sostentamento sufficiente e sovrabbondante; e va ancora più lontano perché, per il prodigio della transustanziazione, ciò che era solo qualcosa di materiale e povero, si trasforma nel Corpo e nel Sangue di Cristo, in alimento soprannaturale. Pane degli angeli, nuova manna che restaura le forze del popolo di Dio. Ma possiamo anche trarre da questo avvenimento altri insegnamenti.

Se meditiamo la scena cercando di applicarla alla vita interiore, forse potremmo avere l’impressione che il Signore ci dice: pensa ai tuoi mezzi, esàminati con audacia; poi, metti ai miei piedi quello che hai; e non preoccuparti se ti manca qualcosa perché a me avanza.

Audacia

Riflettiamo adesso sulla situazione degli Apostoli che, una volta decisi a mettere in gioco tutte le loro possibilità, affrontano il compito di distribuire cibo decisamente insufficiente a una folla numerosa. Non è facile comprendere come si sia prodotto il miracolo. Miracoli d’altro tipo possono essere forse più sorprendenti, ma certamente più facili da immaginare. Gesù impone le mani su qualcuno, o pronuncia alcune parole, e il malato recupera la salute che gli mancava. Invece, qui non è semplice sapere che cosa sia successo esattamente, perché può essere avvenuto in diversi modi (cfr San Giovanni Crisostomo, Homiliae in Mattheum, hom 49, 2-3; Sant’Ilario, in Mattheum, 149).

C’è la possibilità che il mucchio di pezzi in cui Gesù aveva diviso i cinque pani e i due pesci aumentasse improvvisamente, e che ciò che prima era poco divenisse abbondantissimo, fra la meraviglia degli Apostoli. È possibile, effettivamente, che sia successo così: ma c’è un’altra possibilità meno spettacolare, che aiuta a percepire con maggiore chiarezza un insegnamento fondamentale che probabilmente Cristo ha voluto trasmettere ai suoi discepoli e a coloro che li avrebbero seguiti lungo i secoli.

Può essere avvenuto che il Signore offrisse ad alcuni degli Apostoli una parte dei pezzi di pane e questi cominciassero a distribuirli alla folla. A poco a poco si sarebbero resi conto del prodigio: ce ne fu per tutti e persino ne avanzò. Anche la manna non si poteva accumulare da un giorno all’altro (10). Dio voleva che chi riceveva quell’alimento non perdesse la coscienza che si trattava di un dono divino e si abbandonasse a Lui, invece di cercare una sicurezza meramente umana. Forse Gesù ha voluto che gli Apostoli avessero un’esperienza simile. 

Per quanti, fra i presenti, se ne resero conto, l'accaduto fu motivo di sorpresa e di meraviglia. Per gli Apostoli fu una chiara lezione di fede. Alcuni mesi dopo, il Signore avrebbe chiesto loro di prendersi sulle spalle la carenza di formazione di molte anime: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura (11). Senza dubbio, stava per piombare loro addosso un compito che li superava. Chi erano loro? Che cosa potevano fare? Non sarebbe stato più ragionevole proporre per loro mete accessibili?

Ma allora avrebbero pensato a ciò che avevano vissuto. Si sarebbero ricordati che il Signore aveva chiesto loro di fare la conta delle risorse a loro disposizione; per Lui era lo stesso dar da mangiare alla folla con o senza cinque pani, ma aveva voluto che imparassero a rendere disponibile tutto ciò che avevano. Avrebbero meditato come Egli non avesse permesso che la scarsità di mezzi limitasse l’obiettivo proposto; che non si era fermato a prestare un aiuto simbolico, senza risolvere il problema. Avrebbero pure ricordato che i loro mezzi erano stati sempre scarsi… ma che alla fine erano sufficienti. In definitiva, avevano imparato che la cosa importante non era la loro condizione – che pur dovevano calcolare –, ma il potere di Dio e le necessità delle anime.

Noi cristiani dobbiamo sentirci interpellati dalla sete di anime che Dio ha in tutti gli ambienti e in tutte le attività umane (12). Desideriamo mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane (13). Non possiamo rimandare l’inizio di tale compito fino a quando disporremo di tutti i pani necessari per sfamare la folla; non possiamo porci mete minime nell’aiutare gli altri, anche se poi, di fatto, dobbiamo procedere passo per passo fino a raggiungere quelle più grandi.

Nel proporci obiettivi alti e generosi, è facile accorgersi della sproporzione tra le nostre capacità e ciò che pensiamo che il Signore si aspetti, e persino provare un senso di vertigine, di impotenza e di insicurezza, che non dobbiamo ritenere una mancanza di fede. Anzi, è forse una dimostrazione che l’amore di Dio ci sta spingendo oltre la nostra piccolezza. Questo sentimento di inquietudine, lungi dall’opporsi alla magnanimità, dà senso alla speranza, perché dove c’è assoluta certezza, la speranza non può esistere (14).

Ottimismo

Il Signore si aspetta dunque che agiamo con una fede che ignori la possibilità di moltiplicare le nostre qualità. Dobbiamo impegnarci a mettere i nostri cinque pani al servizio di Dio, ad agire come se questi cinque pani fossero sufficienti, anche se, mentre lo facciamo, continuiamo a sperimentare la nostra insufficienza. La vita di fede non si dimostra con i sentimenti, ma con le opere, anche quando i sentimenti sembrano contraddire le certezze fondamentali sulle quali si appoggia tutto il nostro agire.

L’ottimismo cristiano non è ottimismo dolciastro, e neppure la fiducia umana che tutto andrà bene. È un ottimismo che affonda le sue radici nella coscienza della libertà e nella sicurezza del potere della grazia; un ottimismo che porta a essere esigenti con noi stessi, a sforzarci per corrispondere in ogni momento alle chiamate di Dio (15).

La fede del cristiano non è l’ingenuità di chi non si fa carico delle difficoltà e confida sul fatto che tutto andrà bene. Al contrario, la fede genera un ottimismo che affonda le sue radici nella coscienza della libertà, cioè si sostiene e si alimenta della coscienza che le cose possono andar male e, di fatto, a volte accade proprio così, perché la libertà umana – nostra e altrui – non sempre cerca quello che Dio vuole. È un ottimismo che porta (…) a sforzarci per corrispondere in ogni istante alle chiamate di Dio, pur sapendo che neppure così avremo la certezza che tutto andrà bene.

La fede che il Signore mi chiede e si aspetta da me non è, pertanto, la fiducia nel buon andamento delle cose. È la sicurezza che, comunque esse vadano, Dio se ne servirà a mio favore, a favore di coloro che mi stanno accanto e della Chiesa intera. Detto in altro modo: Dio non si aspetta che tutto mi vada bene e neppure io mi aspetto da Dio che, se faccio quello che devo, tutto si svolgerà favorevolmente: sarebbe ingenuo pensare che basta essere buono perché tutto sia positivo: ci saranno cose che andranno male, ma seguirò il consiglio dell’Apostolo: Noli vinci a malo, sed vince in bono malum, non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male (16); malgrado tutto, il bene sta vincendo: omnia in bonum! Tutto è per il bene! 

Il Signore ha affidato una grande missione alla Chiesa e a ogni cristiano. È logico che il compito ci appaia smisurato per le nostre forze e giunga addirittura a spaventarci. È pure logico che a volte, di fronte a tanto lavoro, non sappiamo da dove cominciare e abbiamo la tentazione di farci bloccare dai nostri limiti.

La meditazione della scena che abbiamo appena considerato ci renderà di nuovo coscienti che il Signore si aspetta che – come gli Apostoli – ci assumiamo la responsabilità di aiutare molte anime, applicandoci al compito con tutte le nostre capacità. E si aspetta pure che cominciamo a fare ciò che possiamo, senza lasciarci dominare dalla preoccupazione di non essere in grado di finire il lavoro. La scarsità dei nostri pani e dei nostri pesci non deve essere un motivo sufficiente per impedirci di fare ciò che in ogni momento è alla nostra portata. Dio provvederà a ciò che verrà dopo. Così, anche se non percepiamo alcuna sicurezza, di fatto stiamo vivendo di fede.

NOTE

(1)  Cfr Mt 14, 13.

(2)  Mt 14, 14.

(3)  Mt 14, 15.

(4)  Mt 14, 16.

(5)  Cfr Mc 6, 37; Gv 6, 7.

(6)  Mc 6, 38.

(7)  Mc 6, 38.

(8)  Mt 14,18.

(9)   Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1335.

(10) Cfr Ex 16, 17-20.

(11) Mc 16, 15.

(12) Cfr San Josemaría, Cammino, n. 301.

(13) San Josemaría, Forgia, n. 685.

(14) Cfr Rm 8, 24.

(15) San Josemaría, Forgia, n. 659.

(16) Rm 12, 21.