Il segreto meglio custodito in Medio Oriente

È un segreto ben custodito nelle società dove cristiani e musulmani vivono gomito a gomito il fatto che le conversioni da una fede all’altra avvengono con una certa frequenza. I musulmani che diventano cristiani vanno incontro a sfide particolari, ma questo non significa che ciò non avvenga, come dimostra questa storia che riguarda il Libano. Articolo di John L. Allen Jr. in "Crux".

Nostra Signora del Libano.

Riportiamo la traduzione di vari estratti dell'articolo di John L. Allen Jr. dal titolo "Middle East’s well-kept secret revealed when Jihad met the Virgin", pubblicato su "Crux" il 15 ottobre 2017.

È un segreto ben custodito nelle società come il Libano, dove un gran numero di cristiani e di musulmani vivono insieme, lavorano insieme, socializzano insieme, e a volte si sposano tra loro. Spesso in queste società si hanno più conversioni da una fede all’altra di quelle che sono note pubblicamente.

Per i musulmani che adottano il cristianesimo si tratta di una proposta particolarmente delicata, perché corrono il rischio di essere dichiarati apostati e subire rappresaglie, a volte da parte di gruppi di estremisti, ma spesso dalle loro stesse famiglie, dove possono essere respinti, diseredati e anche aggrediti fisicamente.

Malgrado questa dura realtà, non significa che le conversioni non accadano, e qualche volta in una percentuale sorprendentemente alta.

Una moschea, in Libano

Un cattolico libanese, per esempio, mi ha detto questa settimana che un suo amico sacerdote, andato a predicare per sei anni nell’interno del Paese, ha avuto più di trecento conversioni dall’Islam al cristianesimo.

Molti cattolici libanesi hanno qualche storia da raccontare sulle conversioni avvenute davanti ai loro occhi o nelle quali hanno svolto un certo ruolo. Tuttavia, poche storie hanno un impatto simile alla storia che mi ha raccontato un dirigente che la mia collega Inés San Martín e io abbiamo conosciuto la scorsa settimana.(Il dirigente ha chiesto che il suo nome non si venga divulgato, non per paura di ritorsioni personali, ma perché non vuole mettere in pericolo la sua famiglia e la sua attività).

Il fatto è accaduto durante la guerra del 2006 tra Israele e gli Hezbollah, il movimento militare degli sciiti del Libano. Questo signore dirigeva una ONG che aveva l’incarico di trasferire le persone dislocate in una regione del Paese dove erano abituali i bombardamenti israeliani.

Il protagonista della storia è un fervente cattolico, fedele dell’Opus Dei (è soprannumerario, sposato e ha figli), che va a Messa ogni giorno. Anche durante la guerra ha continuato a uscire dai bunker della città in cui si trovava per andare ogni mattina nella chiesa del vicina, malgrado il rischio delle bombe al quale si esponeva.

Una mattina, mentre andava a Messa, gli si avvicinò un musulmano che lo aveva conosciuto attraverso la ONG e che gli domandò se poteva unirsi a lui. Il nome di quell’uomo era “Jihad” (è un nome maschile molto comune tra i musulmani, anche se in Occidente viene associato alla violenza terrorista).

Jihad era fisicamente menomato – ha raccontato – perché a 14 anni aveva perduto un braccio accidentalmente in una falegnameria. Il dirigente cercò di dissuaderlo dall’andare a Messa, convincendolo che era pericoloso, non soltanto per il pericolo di restare ferito durante un bombardamento, ma perché i musulmani vicini di Jihad si sarebbero potuti irritare, o anche accusare il dirigente e la ONG di fare proselitismo con i musulmani.

Jihad accettò di non andare a Messa – racconta il dirigente –, ma era chiaramente dispiaciuto. A metà agosto di quest’anno Jihad è ritornato e gli ha detto di aver sentito dire che il giorno dopo ci sarebbe stata una grande festa dedicata alla Vergine Maria (si riferiva alla festa dell’Assunzione). Provava un amore particolare per Maria – spiegava – e stavolta voleva proprio andare a Messa.

Il dirigente mi ha raccontato che Jihad sembrava determinato, quasi disperato, e perciò accettò di accompagnarlo.

Jihad si prostrò ai piedi di una statua della Madonna in profonda preghiera. Il dirigente s’inginocchiò accanto a lui e pregò con gli occhi chiusi. A un certo punto sentì che qualcuno accanto a lui piangeva... Guardò e vide che Jihad versava lacrime di gioia, che cadevano copiosamente a terra.

Più tardi Jihad confessò che per anni aveva aspettato quel momento. Quando aveva perduto il braccio, Jihad era stato curato in ospedale insieme ad altri due uomini, entrambi cristiani. Un sacerdote veniva a dare loro la comunione accompagnato da una suora. La prima volta che era venuto, dopo avere amministrato il sacramento ai due uomini, stava per avvicinarsi a Jihad, ma la suora glielo aveva impedito (…).

Immagine di Nostra Signora del Libano

Ciò che era successo in chiesa diede il via a una serie di colloqui tra Jihad e il suo amico su diversi aspetti del credo e della pratica della fede cristiana. Il dirigente gli spiegò la differenza fra le interpretazioni islamiche e cristiane della “jihad”: che Cristo aveva dovuto fronteggiare: le aspettative di ciò che significava essere un “messia”, descrivendolo non come un rivoluzionario politico ma come un liberatore spirituale.

Durante uno di questi colloqui, Jihad disse che voleva convertirsi al cristianesimo. Il dirigente ne parlò a un sacerdote che lo invitò alla cautela; fra l’altro lo preoccupava il fatto che Jihad fosse semplicemente grato per gli aiuti datigli dalla ONG e che forse stesse proiettando tale gratitudine sul dirigente e la sua fede cristiana.Ma Jihad ha perseverato e gli è stato suggerito di iscriversi a un corso di catechesi di due anni per prepararsi al Battesimo. Il suo amico gli ha dato un piccolo consiglio: “Non ti scoraggiare per i corsi che devi ricevere e neppure per il cattivo esempio di qualche cristiano che potresti conoscere. Ricorda quel momento davanti alla Madonna e ricorda quello che hai nel tuo cuore”.

Finalmente è arrivato il giorno del Battesimo di Jihad. Il dirigente era lì, con la moglie e i figli, mentre un altro funzionario della ONG ha fatto da padrino di Battesimo. Hanno continuato a essere amici e ora Jihad è un membro attivo della sua parrocchia.

Per ovvii motivi nessuno è ansioso di trasmettere questo tipo di storie in un ambiente in cui i malintesi in fatto di religione possono diventare improvvisamente mortali.

Comunque, tali moti del cuore avvengono con sorprendente frequenza. Probabilmente sono la dimostrazione del paradosso missionario: più il prezzo della fede è alto, tanto più abbonda la fame di riceverla.

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Altre storie del Libano:

Vivendo tra i cristiani del Libano: la storia di Mariam.

Viaggio di Mons. Javier Echevarría in Libano: la pace, un dono di Dio (2006).