Gerusalemme: la Grotta del Padre Nostro

Il luogo in cui Gesù insegnò il Padre Nostro ai suoi discepoli è uno di quelli di cui abbiamo ricevuto notizia solo dalle tradizioni locali, diffuse dai cristiani di Terra Santa di generazione in generazione. San Matteo include il Padre Nostro nel Discorso della Montagna, mentre San Luca dice che avvenne in un certo luogo durante la salita del Signore a Gerusalemme.

Presbiterio della basílica non terminata, sopra la grotta del Padre Nostro. Foto: Alfonso Puertas.

Tracce della nostra fede

Addentrandoci nelle pagine del Vangelo, riviviamo la scena in cui Gesù si è ritirato in orazione e i discepoli sono vicino a Lui, forse contemplandolo. Quando ebbe terminato, uno di loro si decise a chiedergli: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome...» (Lc 11, 1-2) (Amici di Dio, 145).

Contempla con calma questa realtà: i discepoli frequentano Gesù e, nelle loro conversazioni, il Signore insegna — anche con l'esempio — come devono pregare, e il grande portento della misericordia divina: il nostro essere figli di Dio e il poterci rivolgere a Lui come un figlio parla a suo Padre (Forgia, 71).

Durante i tre anni della sua vita pubblica, Gesù andava per la Palestina e le regioni limitrofe annunciando il regno di Dio. Gli Evangelisti citano con precisione alcuni scenari di quella predicazione itinerante, come le sinagoghe di Nazaret e Cafarnao, il pozzo di Sicar, i portici del tempio o la casa di Marta, Maria e Lazzaro, a Betania. Di altri luoghi, tuttavia, abbiamo ricevuto notizia solo dalle tradizioni locali, trasmesse dai cristiani di Terra Santa di generazione in generazione. È questo il caso dell'insegnamento del Padre Nostro, che San Matteo include nel Discorso della Montagna, mentre da San Luca è presentato in un certo luogo durante la salita del Signore a Gerusalemme.

Sulla strada di Gerusalemme

Nel luogo prima occupato dalle navate della basilica bizantina ora c'è un giardino. Foto: Mattes (Wikimedia Commons)

In effetti, fin da tempi molto antichi si venerava una grotta vicino alla strada che porta da Betania e Betfage verso la Città Santa, in cima al Monte degli Ulivi, molto vicino al punto in cui si ricordava l'Ascensione. In quella grotta Gesù si sarebbe ritirato spesso con gli apostoli, li avrebbe istruiti su molti misteri -fra gli altri, le profezie sulla fine del mondo e della distruzione di Gerusalemme-, e avrebbe loro trasmesso la preghiera del Padre Nostro. La memoria doveva essere radicata, se nel 326 Sant'Elena decise la costruzione di una Basilica: era detta Eleona –come il luogo in cui si ergeva-, aveva tre navate ed era preceduta da un grande atrio con quattro portici. La grotta costituiva la cripta sotto il presbiterio. Alcuni decenni più tardi, a pochi metri di distanza, fu edificato il santuario noto come Imbomon, che custodiva la roccia dalla quale il Signore si sarebbe levato in cielo.

La pellegrina Egeria, che descrive diverse cerimonie che si celebravano li alla fine del IV secolo, testimonia: il martedì della Settimana Santa, «tutti vanno alla chiesa posta sopra il monte Eleona. Quando si arriva alla chiesa, il vescovo entra nella grotta in cui il Signore era solito istruire i discepoli, prende il libro dei Vangeli e, rimanendo in piedi, legge egli stesso le parole del Signore scritte nel Vangelo secondo Matteo, dove dice: guardate che nessuno vi inganni [Mt, 24, 4]; e il vescovo legge fino alla fine tutto il discorso»; (Itinerarium Egeriæ, XXXIII, 1-2, CCL 175, 78).

La tradizione del luogo del Padre Nostro, confermata da altri testimoni successivi, è rimasta costante: il luogo non è cambiato, anche se degli edifici antichi e delle ricostruzioni medievali restano solo rovine. Durante il periodo ottomano, nel 1872, si stabilì nella proprietà una comunità di Carmelitani di fondazione francese, che costruirono la chiesa attuale e un convento annesso. Dopo la prima guerra mondiale, nel 1920, furono cominciati i lavori per costruire sopra la grotta una nuova Basilica dedicata al Sacro Cuore; tuttavia i lavori, dopo aver eliminato un'ala del chiostro e toccato la cripta primitiva, dovettero essere interrotti e non furono più ripresi.

Dal XIX secolo Eleona è curata da una comunità di Carmelitani di fondazione francese, il cui convento è vicino alla grotta del Padre Nostro. Foto: Mattes (Wikimedia Commons).

Si entra al Santuario di Eleona dalla strada di Betfage. A destra, dove cresce un giardino frondoso, si trovava il portico della Basilica bizantina; a sinistra, scendendo alcuni scalini, si accede al convento dei Carmelitani Scalzi, con la chiesa preceduta dal chiostro; e nel centro, sotto il presbiterio della costruzione abbandonata, si trova la grotta del Padre Nostro. Si tratta di uno spazio ridotto, con un doppio ingresso che ricorda la Basilica della Natività e risale all'epoca dei crociati. Ci sono due ambienti: uno restaurato e l'altro, in fondo, ridotto a rovine; vi sono state trovate sepolture che potrebbero risalire ai primi secoli dopo Cristo.

I muri di tutto il recinto sono coperti da pannelli di ceramica col Padre Nostro scritto in più di 70 lingue. Come sappiamo, la formulazione tradizionale si ispira agli insegnamenti del Signore raccolti da San Matteo: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male (Mt 6, 7-13).

Il Padre Nostro

Il Padre Nostro è l'orazione principale del cristiano. Il Catechismo della Chiesa Cattolica -citando Tertulliano, sant'Agostino e San Tommaso d'Aquino- lo qualifica come la sintesi di tutto il Vangelo, compendio delle nostre richieste, la più perfetta delle preghiere (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2761-2763).

Inoltre viene detta tradizionalmente "orazione domenicale" per indicare che è del Signore: Gesù, come Maestro, ci dà le parole ricevute dal Padre; e allo stesso tempo, come nostro Modello, ci rivela il modo in cui pregare per le nostre necessità (Cfr. Ibid., n. 2765.)

Questo carattere fondamentale del Padre Nostro è stato vissuto dalla Chiesa fin dalle origini: subito ha sostituito altre formule della pietà ebraica, è stato incorporato nella liturgia ed è divenuto parte integrante della catechesi per ricevere i sacramenti. Lungo i secoli, i grandi maestri di vita spirituale hanno commentato questa preghiera, estraendone le ricchezze teologiche che custodisce. «In così poche parole è racchiusa tutta la contemplazione e perfezione -scrisse Santa Teresa di Gesù-, tanto che pare che non abbiamo bisogno di un altro libro, ma di studiare questo. Perché qui il Signore ci ha insegnato tutti i modi della preghiera e dell'alta contemplazione, dai principianti all'orazione mentale, e di quiete e di unione; se io lo sapessi dire, si potrebbe scrivere un grande libro di orazione su un fondamento tanto vero» (Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione [codice di Valladolid], 37,1).

Per recitare con frutto il Padre Nostro ricordiamo che Gesù non ci lascia una formula da ripetere meccanicamente. Come per qualsiasi preghiera vocale, è attraverso la Parola di Dio che lo Spirito Santo insegna ai figli di Dio a pregare il loro Padre. Gesù non ci dà soltanto le parole della nostra preghiera filiale: ci dà al tempo stesso lo Spirito, per mezzo del quale quelle parole diventano in noi «spirito e vita» (Gv 6,63). Di più: la prova e la possibilità della nostra preghiera filiale è che il Padre «ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!» (Gal 4,6) (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2766)

Un modo per coltivare la coscienza della nostra filiazione divina è convertire il contenuto del Padre Nostro in materia del nostro dialogo con Dio. Così fece in alcuni momenti San Josemaría. In un suo scritto, in cui si riferisce a fatti della sua vita spirituale accaduti negli anni intorno al 1930 racconta:

"Quando ero giovane avevo l'abitudine, non poche volte, di non usare alcun libro per la meditazione. Recitavo, assaporandole, una a una le parole del Pater Noster, e mi trattenevo -assaporandolo- quando consideravo che Dio era Pater, mio Padre, che dovevo sentirmi fratello di Gesù Cristo e fratello di tutti gli uomini.

Una scala dà accesso alla grotta del Padre Nostro. Foto: Mattes (Wikimedia Commons)

Non cessava il mio stupore, contemplando che ero figlio di Dio! Dopo ogni riflessione mi ritrovavo più fermo nella fede, più sicuro nella speranza, più acceso nell'amore. E nella mia anima nasceva la necessità, essendo figlio di Dio, di essere un figlio piccolo, un figlio bisognoso. Da lì sgorgò nella mia vita interiore il vivere finché potevo -finché posso- la vita di infanzia, che ho sempre raccomandato ai miei, lasciandoli liberi (San Josemaría, Lettera 8-XII-1949, n. 41).

È bello verificare che, anni dopo, il fondatore dell'Opus Dei consigliava ciò che lui stesso aveva messo in pratica. In un incontro con persone di ogni condizione, durante l'estesa catechesi che realizzò nella penisola iberica nel 1972, qualcuno gli domandò:

-Padre, come possiamo migliorare l'orazione? Perché molte volte il Padre Nostro mi viene meccanicamente.

-Questo succede a tutti, rispose San Josemaría. Anche Santa Teresa dice che qualche volta era secca come un palo, e non poteva pregare neanche un Padre Nostro rendendosi conto di quello che diceva.

Dillo al Signore. Digli: mi metto a pregare e vorrei farlo bene; ti chiedo di illuminarmi, di aiutarmi a rendermi conto di quello che dice il Padre Nostro. Cominci: Padre. E ti fermi a considerare un momento che cosa vuol dire questa parola. Pensi a quello che è per te tuo padre, e che oltre a questo padre della terra ne hai un altro in Cielo: Dio. E ti riempi di orgoglio santo.

Padre nostro. Non è solo tuo: è nostro, di tutti. Perciò tu sei fratello delle altre creature che ci sono in terra. Perciò devi voler bene alla gente, devi aiutarli ad essere buoni figli di Dio, perché tutti insieme formiamo la famiglia di nostro Padre del Cielo.

Che sei nei cieli… E subito ricordi quello che mi hai sentito dire: che è anche nel Tabernacolo e nella nostra anima in grazia… (San Josemaría, appunti presi durante una tertulia, 27-10-1972)