20. Quali furono i rapporti di Gesù con l’Impero Romano?

Quasi in ogni pagina del Vangelo ci imbattiamo in personaggi che si chiedono qualcosa su Gesù: da dove viene, come mai insegna con tanta autorità, da dove deriva il suo potere, perché fa miracoli, perché sembra opporsi alle tradizioni, perché le autorità lo respingono. Sono domande che si fecero allora e si sono continuate a fare lungo i secoli. A queste domande se ne sono aggiunte altre sul Gesù storico: che lingua parlava, che rapporto aveva con Qumran, è esistito davvero Ponzio Pilato?

Nel complesso panorama sociale e politico, molto spesso in rivolta, in cui visse Gesù è degno di nota il fatto che Egli non manifestò, almeno direttamente, un’aperta avversione allo stato romano, pur non accettandolo acriticamente.

Un episodio rilevante è quello narrato nei tre vangeli sinottici, in cui alcuni farisei, messisi per l’occasione d’accordo con alcuni erodiani, gli tendono un tranello con una domanda capziosa: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?” (Mt 22, 16-17). La reazione di Gesù è ben nota: “Conoscendo Gesù la loro malizia, rispose: "Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: "Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?". Gli risposero: "Di Cesare". Allora disse loro: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22, 18-21).

La risposta di Gesù supera l’orizzonte umano dei suoi interlocutori. È al di sopra del sì e del no che volevano ottenere. La questione era molto insidiosa, perché tentava di ridurre l’atteggiamento religioso e trascendente di Gesù ad una posizione politica. La domanda, nel contesto in cui era stata formulata, quasi lo obbligava a esporsi o come collaborazionista del regime occupante della Palestina, o come rivoluzionario.

Di fronte a questa provocazione, Gesù non confonde il regno di Dio con lo Stato. Da una parte riconosce le competenze dello stato nell’organizzazione di quanto giova al bene comune, come è la raccolta delle imposte. Però la sovranità dello stato non è assoluta. Nel mondo romano di allora, dove si tributava culto divino all’imperatore, Gesù non gli riconosce questa sfera di competenza: ci sono cose che non debbono essere date a Cesare ma a Dio. L’istituzione civile e quella religiosa, secondo gli insegnamenti di Gesù, non debbono confondersi né intromettersi in questioni che non sono di loro pertinenza, ma armonizzarsi, rispettando ognuna la sfera dell’altra.

La vita di molti tra i primi cristiani, cittadini normali che lavorarono insieme ai propri concittadini nella costruzione della società in cui vivevano, ma che seppero offrire una testimonianza fino al martirio, quando leggi ingiuste pretendevano di obbligarli a non rispettare quello che è di Dio, sono la migliore esegesi di queste parole di Gesù.